Making It So (Id, 2023): è l'autobiografia di Patrick Stewart. 
Patrick Stewart non è un conquistatore storico come Giulio Cesare, è un attore professionista; non è un attore professionista come Dean o Belushi, artista maledetto con la vita al limite. 
Questa di Stewart, per larga parte della sua vita, è una storia di normale umanità come tante. 
Nato poverissimo nell'Inghilterra operaia del nord nel 1940, divenuto capitano della più avanzata nave spaziale del suo tempo.
Inevitabilmente è un libro anche su Star Trek... diciamo l'ultimo terzo del libro. 
Continuando a elencare le cose che Stewart non è: non è un attore dal volto che buca lo schermo o il talento geniale, è uno che ha fatto la gavetta per quasi 30 anni prima di arrivare al successo; il successo è arrivato tardi, quando aveva quasi 50 anni.
Il capitano Picard non si vergogna del successo dovuto a Star Trek e, infatti, il libro cita apertamente Star Trek fin dal suo titolo. 
Il titolo è brillante: ovviamente riferisce al 'make it so' di Picard con il quale ordinava l'esecuzione di qualche suo comando, ma è girato in un modo che sottintende all'applicazione di volontà e sacrificio per raggiungere il successo. Schwarzenegger viene in mente. 
Andiamo con ordine ma velocemente: nasce molto povero, padre non proprio violento ma tipica storia Dickens, teatro a scuola, poi teatro locale, poi un po' meno locale; a metà libro siamo a metà anni '60 e Stewart entra nella Royale Shakespeare Company, una delle più importanti inglesi; a metà anni '70 arriva a Broadway, comincia a fare qualche film, qualche ruolo per la tv. 
Sempre parti secondarie. 
Ha 44 anni quando recita nel Dune di Lynch. Ne ha 47 quando gli viene offerto il ruolo protagonista nel rilancio di una famosa serie scifi degli anni '60, un progetto considerato da molti già condannato in partenza. 
L'approccio narrativo è quello del vegliardo, il nonno che dispensa perle di saggezza ai nipoti mentre racconta loro di un mondo che fu di treni a vapore e ragazzine baciate nei fienili. 
Il racconto grato di qualcuno arrivato al successo con duro lavoro e qualche colpo di fortuna.
Stewart non è perfetto: anche lui ha provato a chiudere le porte e lasciare indietro il personaggio, cercare una carriera più alta, porre condizioni e pretese per un eventuale ritorno; ne parla apertamente ed è probabilmente la prima fonte di notizie sul dietro le quinte di Picard. 
Il finale del libro è una veloce carrellata: finito Star Trek, i film di Star Trek; il ritorno trionfale a teatro, ora da celebrità famosa nel mondo, in ruoli da protagonista; gli X-Men fino a Logan; film e teatro; le relazioni sentimentali, gli amici carissimi, il cavalierato; il ritorno a Picard e il finale che avrebbe voluto e non è stato per 'motivi di produzione', l'arguta scelta di usare quel finale mancato come finale di questo libro. 
L'identificazione finale tra personaggio e attore. 
Uhm.
La quarta di copertina del libro porta praises da 4 personalità che rappresentano molta della sua carriera e la portata del suo riconoscimento globale: Ian McKellen, amico intimo e compagno di cinema e teatro; Woopi Goldberg, Star Trek; Michael Chabon, Picard; Jonathan Ames, autore della sua sit-com mai arrivata da noi. 
Chiudo: mentre leggevo questo libro, mia moglie ascoltava l'audiobook dell'autobiografia di Britney Spears.
Non è divertente nel senso scandaloso di molte autobiografie, è pure un po' palloso perché la vita di Stewart non è stata così interessante; è certamente un feticcio per l'appassionato di Star Trek, ma non per quello degli X-Men; è la storia esemplare di un uomo di successo non particolarmente simpatico, borioso ma non in modo eccessivo, che ha saputo conquistare l'affetto del pubblico specialmente nella seconda metà della sua vita.