Song of the Assassins: aka Code of the Assassins. E' l'ultima fatica di Daniel Lee, di cui continuo a non essere un fan, ma che, senza dubbio, è l'unico erede di Tsui Hark nella cinematografia asiatica contemporanea. 
Narrazione abridged ed esagerata ricerca estetica. 
Passo indietro: Song of the Assassins è l'adattamento di un romanzo di Yuan Taiji del 2015: avrebbe dovuto essere un progetto multimediale: romanzo già creato con l'idea di realizzare un film, una serie, altri film e altra roba. Andato tutto in malora: dopo 5 anni di produzione (tempi biblici per i cinesi), lo scorso anno è uscito questo film che è, finora e probabilmente per sempre, tutto ciò che sarà del progetto iniziale.
E' un wuxia. 
C'è un villaggio di assassini e ci sono vari 'regni' che si contendono il controllo completo del territorio. 
C'è una mappa che tutti vogliono perché conduce al One Piece. C'è uno degli assassini la cui famiglia è stata massacrata per quella mappa e ha giurato vendetta. Ci sono... ah: ci sono una caterva di personaggi e tutti tradiscono tutti a ripetizione e alla fine è un casino, ma anche super divertente. 
Ogni assassino, passiamo alle cose importanti, è dotato di una speciale arma del tipo steampunk-fantasy cinese da flying ghigliottina: il nostro eroe ha un braccio che bionic commando gli fa una sega. 
Non voglio fare spoiler, ma il braccio fa di tutto: Bionic Commando, Made in Abyss, Assassin's Creed e, persino, Dark Sector. 
Visivamente, Lee si è lasciato influenzare a piene mani da recenti e meno recenti film di supereroi americani: c'è un particolare tipo di inquadratura resa famosa da Iron Man, ci sono filtri alla Frank Miller. Naturalmente ci sono anche moltissime influenze da manga e anime. 
Il film è uno spettacolo tanto stupido quanto esaltante, si guarda con grande divertimento. 
Come molti film di questo tipo, qui ancora di più per quanto raccontato prima, non ha un vero inizio e di certo non un finale: è un passaggio di mezzo di una storia più ampia.
Ah, ruolo protagonista per Feng Shao Feng