My Small Land: drammatico giapponese del 2022. Molto promettente esordio alla regia per Emma Kawawada, cresciuta nella casa di produzione di Kore-eda: c'è qualche somiglianza, ma questo film spicca per il soggetto originale e la rappresentazione estremamente ruffiana.
In Giappone esiste una piccola comunità di rifugiati kurdi; il Giappone non è una nazione particolarmente aperta agli stranieri, specialmente quelli poveri... a questo punto, però, voglio anticipare il mio problema principale con il film.
Ho trovato un'intervista online con la regista dichiarare di aver volontariamente scelto di rappresentare i soggetti del film in un modo da non arrecare loro danno, per evitare controversie e brillare una luce su una situazione ignota alla maggior parte dei giapponesi: scegliere di essere così positivamente sensibile, politicamente corretta e attenta ha causato due grossi problemi al film.
Il Giappone è rappresentato come una comunità fatta di persone accoglienti che non hanno alcun problema con gli amici kurdi, salvo non avere idea dove cosa siano, e di un governo malvagio pieno di regole e leggi che ostacolano la presenza e l'insediamento di stranieri in Giappone. Questo governo malvagio è senza volto e senza nome, tutti i giapponesi invece sono buoni o, alla peggio, gentilmente indifferenti.
C'è un vaghissimo accenno, letteralmente una frase, alla possibilità di bullismo contro i bambini stranieri, ma il film evita accuratamente di offrire una versione realistica dei giapponesi.
Lo stesso accade per la comunità kurda.
Ci sono delicatissimi, impercettibili suggestioni al fatto che i kurdi possano essere un po' più interessati alla religione rispetto ad altri popoli, o avere qualche considerazione non proprio moderna sul ruolo della donna e le libertà femminili.
La scelta di rappresentare tutti i kurdi come eroici rifugiati vittime di soprusi ,allora da altri misteriosi europei, oggi da indefinite autorità giapponesi, è ugualmente falsa e ingannevole.
Soprattutto quando fatta coscientemente.
Tutto ciò detto.
Una famiglia di kurdi (padre, due figlie, un figlio) vive in onesta povertà.
Un giorno il governo giapponese decide di perseguitarli e la povertà peggiora, il padre viene arrestato e ogni responsabilità ricade sulla meno giovane figlia.
Il padre è ossessionato (gentilmente e bonariamente) dal mantenere vive le loro usanze e identità kurde; i figli sono praticamente giapponesi in tutto e per tutto, tranne sfortunatamente nei documenti.
Il conflitto è così minimo e tiepido che sembra si discuta di quale colore dipingere un muro.
Debutto cinematografico per Lina Arashi, modella di tik tok dal complicato albero genealogico.
Il film è ben diretto, ben recitato; offre uno spaccato di vita su un particolare, ignoto a praticamente tutti, della società giapponese.
E' interessante, ma la regista avrebbe dovuto osare di più, o almeno osare qualcosa, qualcosina.
SPOILER SPOILER SPOILER
A quanto pare in Giappone c'è la seguente legge, che potrebbe vincere il premio disumanità: se il genitore straniero di un bambino straniero cresciuto in Giappone accetta di levarsi dal cazzo e abbandonare il paese, il Giappone accetta di tenersi il bambino.
Il padre si sacrifica, torna al suo paese dove sarà prontamente ucciso, per consentire alle figlie di continuare a vivere in Giappone.
La figlia capisce la grandezza di suo padre e, finalmente, scopre di essere kurda e volersi comportare come tale.
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