Kung Fu Stuntmen - Never Say No!: documentario cinese del 2020 dedicato agli stuntmen del cinema hongkonghese, e di conseguenza anche una sorta di grossolana storia del cinema di HK.
Impostazione tradizionale: una sequenza di interviste a personaggi più o meno famosi, varie immagini e filmati di repertorio; il film è agiografico e presenta in chiave eroica tutti i più importanti esponenti del cinema d'arti marziali di HK, l'ultimo segmento, quasi un terzo del film, è una lunga pubblicità alla Associazione degli Stuntmen di HK e i loro corsi di formazione. 
A grandi linee: il Giappone invade la Cina, un sacco di gente scappa dalla Cina verso Hong Kong (e Shanghai e altri posti simili), tra questi molti artisti, tra questi artisti molti maestri di Peking Opera; Hong Kong è poverissima e molti giovani cercano lavoro dappertutto e a qualunque condizione, alcuni cominciano a studiare con i maestri venuti dalla Cina, ma il teatro è un'arte morente e il futuro è nel cinema: le acrobazie, balli e altri elementi dell'Opera Cinese diventano le basi per le coreografie dei primi film d'arti marziali realizzati a HK, gli artisti dell'opera si trasformano in stuntmen, kung fu specialists. 
Gli anni '60 e le produzioni Shaw Brothers. 
Arriva Bruce Lee e la Golden Harvest, i combattimenti diventano più realistici, meno danza e più botte; arrivano gli anni '70 e '80, Sammo Hung e Jackie Chan, si creano le prime crew rivali di stuntmen legati ai leader del genere: i combattimenti diventano sempre più complessi, le scene d'azione sempre più articolate. 
A HK non ci sono soldi e non ci sono effetti speciali, ma c'è tanta gente disperata e gli ospedali costano poco: gli effetti speciali del cinema americano sono sostituiti da sangue e ossa rotte per davvero, nasce il cinema di HK. 
Gli stuntmen sono il cuore dell'industria e il motivo del suo successo internazionale, la ragione che mise HK sulla mappa come una delle poche realtà cinematografiche capaci di rivaleggiare con Hollywood (insiema a Giappone e India... c'è qualcosa in oriente che dice Cinema). 
C'è spazio per parlare con e di Donnie Yen, Woo-ping Yuen; Tsui Hark e Jet Li.
Arriva la fine degli anni '90, gli inglesi se ne vanno, Hong Kong precipita e la Mainland Cina comincia a fagocitare tutto, compresa l'industria cinematografica. 
Ciò che era venuto dal Nord, torna al Nord.
Il documentario, naturalmente, non è critico nei riguardi della Cina e si mantiene miserabilmente in equilibrio tra il dare per morto il cinema di HK, condizione per altro riconosciuta da molti, e vagheggiare un ritorno mitico ai fasti di una volta, assolutamente impossibile per la naturale evoluzione delle condizioni lavorative. 
Non è un caso se realtà cinematografiche asiatiche minori, abbiano qua e là parzialmente colmato il vuoto lasciato dal cinema di HK, prima la Tailandia poi l'Indonesia, puntando sugli stessi punti di forza di allora: stuntmen incredibili e condizioni di lavoro subumane. 
Si guarda, non è granché ma piacerà ai fan.