The Mitchells vs the Machines: c'è una grande guerra in atto e nessuno ne parla. 
Non è la guerra tra la famiglia Mitchell e le Macchine Ribelli, ma la guerra tra Sony+Netflix contro Disney. 
E' una guerra d'attrito che sembrava in qualche modo sopita, una pace armata, dopo la drammatica trattativa che portò agli accordi che consentirono l'utilizzo di Spider-man nel MCU.
Ultimamente è tornata calda. Molto calda dopo l'annessione di Fox a Disney.
Ora Disney vuole avere tutti i film Marvel di Sony sul Disney+: l'acquisizione di Fox, ma reso impossibile rifiutare, ma Sony è riuscita comunque a stringere un accordo e concederli prima a Netflix... per un po'. 
Tuttavia questo è solo colore. 
Concentriamoci sulla sostanza, parliamo di Sony Pictures Animation.
Nel 2018, dopo anni di mediocri cagate, l'uscita di Into the Spider-Verse ha trasformato Sony Pictures Animation in un giocatore di prima grandezza nel campo dell'animazione americana: visivamente innovativi, tecnologicamente all'avanguardia e narrativamente focalizzati. 
SPECIALMENTE, ed è qui importante distinguere, le produzioni interne realizzate dagli studios Sony Pictures Imageworks. 
NOTA: Sony Pictures Animation è composta da vari studi/si avvale del lavoro di differenti studi di produzione. Sony Pictures Imageworks fornisce effetti speciali e animazioni in cg per lungometraggi dal vivo, collaborazioni con altre componenti di Sony (tipo Over the Moon) e produzioni proprie.
Complessivamente, Sony continua a realizzare mediocre animazione, ma Sony Pictures Imageworks è appena uscita con il suo nuovo cartone assolo dopo Into the Spider-Verse (ammetto, in questa mia ricostruzione, di non voler riconoscere l'esistenza di Angry Birds) ed è un altro capolavoro che mette a sedere e imbarazza Disney, Pixar, e Dreamworks.
Storia originale. 
Una storia originale apparentemente molto banale e molto Disney: famiglia disfuzionale, gap generazionale tra genitori e figli, rapporto specialmente deteriorato tra padre e figlia maggiore. 
Lei è prossima a partire per il college e non vede l'ora di sbattere la porta in faccia al resto della famiglia e non vederli mai più. Lui vorrebbe tenerla sotto il proprio controllo e costringerla a pensare in modo conforme. 
Nel frattempo, l'ennesimo malvagio Steve Jobs (e ci si interroga sempre se Steve Jobs fosse il non-malvagio Steve Jobs) si spinge troppo in là con la tecnologia smart e causa il solito Robot Uprising, Rise of the Machine. 
HALL HAIL SIRI!
Fin qui tutto già visto, niente di nuovo. 
Addirittura, lo svolgimento della storia nelle sue parti iniziali sembra un brutto film di Adam Sandler.
A salvarci da tanta non-originalità, interviene l'animazione: naturalmente assomiglia a quella di Into the Spider-Verse, gli amici di Imageworks vogliono crearsi un'identità visiva riconoscibile, ma è, soprattutto, molto diversa. 
Into the Spider-Verse adottava idee dei comics nella propria animazione, Mitchells utilizza... ah... è difficile per me da spiegare perché vivo lo stesso, orribile gap generazionale del padre, ma, diciamo: la cultura giovanile dei social, dei filtri e della realtà aumentata. 
La protagonista è un film-maker amatoriale e tutto il film è filtrato attraverso la sua fantasia, e la sua fantasia adotta i mezzi e lo stile delle produzioni amatoriali degli youtuber e dei film-maker da telefonino. 
Il risultato è molto migliore della descrizione che ho provato a darne. 
...e poi la storia decolla. 
Non c'è niente di imprevedibile in questo film, è tutto anzi facilmente riconoscibile da mille e più storie simili, ma la qualità della scrittura è tutta un'altra cosa. 
L'impostazione e lo svolgimento delle scene, i dialoghi, la continuità visivo-narrativa impeccabile nel corso di tutto il film, la creatività delle idee di contorno e la concentrazione sui dettagli elevano questo luogo comune ad altezze sorprendenti. 
Il regista è l'esordiente Michael Rianda, ma Michael Rianda è esordiente solo al cinema: è un altro di quei creativi provenienti dal fervido mondo dell'animazione americana televisiva contemporanea, una fucina di talenti in un giro d'anni di grazia senza precedenti: è uno dei creatori di Gravity Falls.
Il cast delle voci è composto da Danny McBride nel ruolo del padre, Maya Rudolph in quello della madre, Abbi Jacobson la figlia e vari altri comici nei ruoli secondari. Quasi tutti comici direi. 
Ho controllato: batte tutto nel campo dei lungometraggi animati americani negli ultimi 5 anni, e voglio essere conservativo. 
A questo punto ho scritto e cancellato e riscritto una frase di chiusura, qualcosa tipo: "Pixar non fa un bel film da 10+ anni, Dreamworks fa merda a parte How to Train Your Dragon, Disney ha Frozen e Moana ma il resto è schifo."
Non voglio fare davvero una classifica di questo genere.
I Mitchells è come Spider-Verse: è animazione per la famiglia, ma parla con un linguaggio nuovo che non è solo quello fatto di idee sociali più illuminate e moderne, ma letteralmente un diverso modo di dirigere e scrivere le scene, di interpretare l'animazione e trasportare nel rigido e classico mondo dei lungometraggi, la spumeggiante energia della tv animata contemporanea. 
Non è più questione di budget e textures sempre più realistiche, qui si considera l'animazione in tutte le sue infinite possibilità espressive: Adventure Time, Gumball, She-Ra, Steven Universe... l'eccezionalità della tv animata occidentale che viene finalmente trasportata nei film.