Japan Sinks (Nippon Chinbotsu): ho deciso di impegnarmi a concludere una serie di anime, per lo più anime, che ho lasciato indietro, dopo averli iniziati, per vari e nessun motivo. A partire da questo. 
Adattamento animato del famosissimo romanzo giapponese omonimo del 1973 di Sakyo Komatsu.
NOTA: il romanzo è disponibile in inglese in diverse edizioni ma, se capisco correttamente, sono tutte abridged.
Adattato in vari film e serie tv, rappresenta da sempre una delle principali 'paure condivise' della società giapponese. All'incirca simile al Big One che minaccia la California, anche il Giappone vive nel terrore di un terremoto che lo affondi. 
Qui parliamo dell'adattamento animato realizzato da Science SARU e pubblicato su Netflix la scorsa estate.
Dieci episodi. 
La serie è immediatamente diversa dalla consuetudine giapponese: realizzata con una tecnica mista che unisce animazione a mano e a computer... flash animation. Yep! Non la tipica animazione digitale alla Polygon, ma una versione (ancora) più povera e veloce. 
Visivamente non è granché. Non accetto una misteriosa spiegazione espressivo-artistica che giustifichi la scelta di realizzare larghe parti di questo cartone come fossero roba da Newgrounds. 
Yep2! Se non sapete cosa sia Newgrounds, l'animazione flash è così vecchia.
Passando oltre. 
C'è una bella famigliola giapponese: padre, madre, figlia maggiore, figlio minore. 
C'è un primo terremoto, un secondo terremoto, un gran casino e la necessità di abbandonare il Giappone diventa immediatamente chiara. Naturalmente non è così facile. 
La storia è un classico disaster movie: nella versione originale del libro, l'aspetto più interessante è l'accuratezza e la profonda ricerca effettuata dall'autore sulla scienza dietro la possibilità reale del disastro (e il fatto di essere una storia di metà anni '70); in questa versione, per ovvi motivi di formato, tutto gira soprattutto intorno alla sopravvivenza e alla progressiva disgregazione della società. 
Ci sono tutte le fasi e tutte le facce: ci sono quelli che saccheggiano, quelli che si aiutano e quelli che si calpestano. Ci sono quelli che pensano di essere più intelligenti degli altri e decidono di andare a valle, ci sono quelli che pensano di essere più intelligenti degli altri e decidono di andare a monte. 
Ci sono quelli che scoprono la religione e ci sono quelli che vanno giù di testa e scoprono la religione. 
La sceneggiatura adopera con notevole, seppur ripetitivo, successo lo strumento di alternare momenti di pace ad altri di inaspettata e brutale violenza: la tragedia colpisce sempre nei momenti più inaspettati e tranquilli, e quindi diventa drammaticamente prevedibile.
Dopo i primi giorni di caos, comincia una certa riorganizzazione istituzionale e vari tentativi di salvare la popolazione, anche qui si manifestano tutte gli stereotipi classici del genere: c'è la tipica selezione dei migliori che hanno diritto a essere preservati a discapito degli inutili; ci sono le botte di razzismo estemporaneo di chi vuole salvare solo giapponesi puri e lasciar morire tutti i diversi, o mezzi diversi.
Faro di speranza scientifica nel finale: gli eroi si battono per raggiungere un certo posto con certi dati che potranno salvare la cultura giapponese e, un domani, aiutare a ricostruirla. 
E' un anime particolare: adulto e drammatico, ma banale; visivamente diverso dal solito, ma non in modo gradevole. 
Si guarda. A suo tempo riscosse un discreto successo e buzz di pubblico, ma è trascurabile.
SPOILER SPOILER SPOILER
Muoiono più o meno tutti. 
I due figli sopravvivono, ma lei perde una gamba. Otto anni dopo partecipano entrambi alle Olimpiadi nell'orgogliosa squadra giapponese: lei corre con una gamba tipo Pistorius, lui partecipa a una competizione tipo Starcraft.
Il Giappone risorgerà... letteralmente: riemergerà un pezzo alla volta e bla bla.
Curiosamente, davvero curiosamente: le potenze internazionali e straniere sono presentate in un'ottica di grande ottimismo e umana partecipazione.