Legend of the Eight Samurai: la versione del 1983 di Kinji Fukasaku con un giovanissimo Hiroyuki Sanada, Sonny Chiba e Hiroko Yakushimaru nel ruolo della principessa Satomi.
E' un classico della cinematografia giapponese anni '80: fantasy, pop, ingenua e melodrammatica come solo in quegli anni.
Coloratissimo, costumi giganteschi, trucco pesantissimo, recitazione over the top e un sacco di cartapesta.
Cartapesta ovunque... e mostri di gomma mossi con fili.
Il tono di tutto è perfettamente impostato dalla super power ballad in inglese molto Bon Jovi che accompagna i titoli di testa.
La sceneggiatura mischia gli elementi classici della storia originale degli otto 'cani' samurai, adattata innumerevoli volte dal vivo e in animazione, applicandoli senza il minimo imbarazzo alla struttura dei 7 samurai di Kurosawa.
L'ultima principessa dei Satomi è inseguita da un esercito di mostri e soldati al soldo degli antichi nemici del suo clan. Otto samurai del destino, ognuno armato della sua bella palletta magica di cristallo con iscritto un kanji profetico (secondo i sottotitoli ufficiali del film: Devotion, Justice, Filial Piety, Civility, Faith, Wisdom, Vision e Benevolence) la troveranno e proteggeranno.
Complessivamente è un po' lungo con molte scene inutilmente protratte.
L'esempio più lampante è la scena di 'sesso' a circa 4/5 di film: è... è difficile da descrivere.
Il film è ai limiti della celebre sexploitation nipponica degli anni '70, ma questo non impedisce una sana dose di tette qua e là per tutta la sua durata; allo stesso tempo non era ormai più possibile copulare in santa pace: la scena di sesso è un lungo e poco sexy strofinamento di facce contro spalle e colli, baci a bocca chiusa.
E la seconda power ballad del film.
E' uno spettacolo fantastico che va guardato con l'occhio dell'amarcord, o almeno un po' di spirito critico storicizzato: è sostanzialmente il Fantaghirò giapponese.
Morti lunghissime, ben 3 (TRE) amori disperati, una serie di boss finali: gli ultimi 30 minuti sono una lunghissima scena d'azione talmente incasinata da essere senza senso. Lo spazio e il tempo si incartano e ci sono incredibili somiglianze con Krull, che è dello stesso anno.
I due attacchi al castello sono molto simili e alcuni dei personaggi muoiono morti eccezionalmente simili... il 'gigante' che muore schiacciato dalla roccia per tenere aperto il passaggio, tanto per dire la più evidente.
Non voglio indagare su chi dei due abbia avuto tempo di guardare il film dell'altro e copiare.
Legend of the Eight Samurai, Satomi Hakkenden, è un archetipo cinematografico che, finalmente, posso dire di aver visto.