This Is Not What I Expected: il bombardamento di commedie orientali continua. Questa volta tocca a una produzione recente cinese, inizio anno scorso, tratta da un romanzo.
Ennesimo regista esordiente nel grande e rinnovato panorama della cinematografia cinese che, però, davanti alla macchina da presa continua a mettere le sue star più famose: Takeshi Kaneshiro è un super ricco imprenditore che non ha tempo per amicizia o amore, solo per fare soldi e dare sfogo alla sua passione per il cibo. E' un foodie germofobo e maniaco dell'ordine. Ama il cibo e lo comprende in modo intimo: ha gusti raffinati e l'educazione per appoggiarli. E' arrogante ma sa di cosa parla, tanto nel business quanto nel cibo.
Dall'altra parte troviamo Zhou Dongyu: è un casino di donna, disordinata e disorganizzata, ma è un genio della cucina.
E' una commedia classica, straordinariamente internazionale come tutte le più moderne produzioni cinesi ad alto budget: dalla sceneggiatura alla tecnologie e tecniche di ripresa, come la cucina presentata lungo tutto il film, la chiave di lettura non è nazionalista ma assolutamente globale.
Due personalità opposte attratte da un tema comune, litigano e non si sopportano: si innamorano.
Nessuna originalità ma ottima realizzazione.
E' la trama più vecchia del mondo, ma è ammantata di lusso e piena maturità narrativa: il nome del regista non è importante perché questo nuovo cinema cinese è modellato su archetipi hollywoodiani entrati nell'immaginario collettivo.
Oggi, poi, mi sono reso conto di una cosa. Sono finalmente riuscito a dare un nome a una 'strana sensazione' che mi ha accompagnato fin dai primi film di questo rinnovato interesse per la cinematografia orientale: Shanghai. Mi manca Hong Kong.
Continuo ad aspettarmi la skyline e le classiche vedute notturne dei quartieri di Hong Kong, ma sempre più spesso è la solare Shanghai a dare il setting ai film cinesi degli ultimi anni.
E' già il 2046 e non me n'ero accorto.
Kaneshiro è eccellente, la Dongyu è accattivante e straordinariamente somigliante a una giovane Ryoko Hirosue.
E' il meno cinese e il più banale dei film che abbiamo visto in queste settimane, ma è sicuramente uno dei migliori.
Ennesimo regista esordiente nel grande e rinnovato panorama della cinematografia cinese che, però, davanti alla macchina da presa continua a mettere le sue star più famose: Takeshi Kaneshiro è un super ricco imprenditore che non ha tempo per amicizia o amore, solo per fare soldi e dare sfogo alla sua passione per il cibo. E' un foodie germofobo e maniaco dell'ordine. Ama il cibo e lo comprende in modo intimo: ha gusti raffinati e l'educazione per appoggiarli. E' arrogante ma sa di cosa parla, tanto nel business quanto nel cibo.
Dall'altra parte troviamo Zhou Dongyu: è un casino di donna, disordinata e disorganizzata, ma è un genio della cucina.
E' una commedia classica, straordinariamente internazionale come tutte le più moderne produzioni cinesi ad alto budget: dalla sceneggiatura alla tecnologie e tecniche di ripresa, come la cucina presentata lungo tutto il film, la chiave di lettura non è nazionalista ma assolutamente globale.
Due personalità opposte attratte da un tema comune, litigano e non si sopportano: si innamorano.
Nessuna originalità ma ottima realizzazione.
E' la trama più vecchia del mondo, ma è ammantata di lusso e piena maturità narrativa: il nome del regista non è importante perché questo nuovo cinema cinese è modellato su archetipi hollywoodiani entrati nell'immaginario collettivo.
Oggi, poi, mi sono reso conto di una cosa. Sono finalmente riuscito a dare un nome a una 'strana sensazione' che mi ha accompagnato fin dai primi film di questo rinnovato interesse per la cinematografia orientale: Shanghai. Mi manca Hong Kong.
Continuo ad aspettarmi la skyline e le classiche vedute notturne dei quartieri di Hong Kong, ma sempre più spesso è la solare Shanghai a dare il setting ai film cinesi degli ultimi anni.
E' già il 2046 e non me n'ero accorto.
Kaneshiro è eccellente, la Dongyu è accattivante e straordinariamente somigliante a una giovane Ryoko Hirosue.
E' il meno cinese e il più banale dei film che abbiamo visto in queste settimane, ma è sicuramente uno dei migliori.
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