Elegia Americana (Hillbilly Elegy, 2016): "A Memoir of a Family and Culture in Crisis". 
L'autore di questo libro è JD Vance, oggi candidato vice-presidente con Trump, allora avvocato/operatore finanziario di medio successo. 
La sua, però, è una storia di vero successo e di realizzazione del sogno americano, di ascensore sociale e Dickens. 
Nasce hillbilly, white trash, proletariato bianco più povero e degradato; diventa un marine, si laurea a Yale; entra in politica come anti-Trump, diventa il vice di Trump. 
Il ritratto di un uomo che sa dove vuole arrivare, ha le risorse intellettuali e caratteriali per raggiungere i risultati desiderati, e la necessaria assenza di scrupoli morali. 
...ma questo non è il contenuto del libro. Il libro si ferma prima. 
Tuttavia non è possibile scindere l'autore di allora con il politico di oggi e le trasformazioni avvenute in mezzo: c'è stato un momento quando Vance ha rappresentato un movimento di giovani repubblicani neo-conservatori moderni e 'illuminati', aperti a politiche sociali progressiste completamente all'antitesi di quanto promosso da Trump. 
Oggi è il suo vice. 
Un voltafaccia o la più banale trama di qualcuno che vuole cambiare il sistema dall'interno? 
Questo libro, azzardo, è stata una brillante operazione di lancio politico: presenta un repubblicano illuminato, un professionista coinvolto ma non un politico di professione, che riconosce i meriti del partito democratico, i difetti dei conservatori e di chi li vota, e vuole trovare una soluzione non ideologica ai problemi del paese all'interno dei valori più positivi della destra.
Vance sceglie di mostrarsi come personificazione di un sogno americano ancora possibile, anche provenendo dai peggiori strati sociali della nazione, seppure sempre più difficile. 
E' un'autobiografia con frequenti e informati, e correttamente referenziati, commenti statistici sulla società degli hillbilly: i proletari bianchi dei Grandi Appalachi e della Rust Belt. 
Onore, religione, famiglia e ignoranza. 
Vance parla frequentemente di "deresponsabilizzazione": la teoria generale è che la povertà ha distrutto la cultura di queste comunità e che, anche in presenza di lavori e opportunità messe a disposizione, i suoi membri sono incapaci di coglierle o di accettare le proprie manchevolezze, costantemente incolpando altri senza la minima intenzione di cambiare le cose. 
Non è colpa loro, sono stati resi così.
La descrizione che Vance fa di queste persone è spietata e allo stesso tempo affezionata: è cresciuto insieme a questa gente, sono il suo popolo, ma sono indirizzati su un binario di autodistruzione. 
Lo stile linguistico, almeno della traduzione italiana, è molto semplice... semplificato: sembrano le parole, ma potrebbe essere una suggestione, di un politico quando parla con persone che sa essere meno istruite e vuole essere sicuro di farsi capire e di sembrare come loro.
Alla lunga il libro diventa una rottura di cazzo e il motivo è molto semplice, ed è allo stesso tempo anche uno dei suoi motivi di maggiore interesse: la rappresentazione della povertà raccontata da Vance è eccezionalmente simile, per non dire proprio identica, ai corrispondenti strati poveri della nostra società e, mi azzardo a ipotizzare, di tutti gli equivalenti (almeno) occidentali. 
Ah, c'è una serie su Netflix. 
Famiglia povera, madre drogata e battona, vive con i nonni che sono praticamente illetterati e pronti a sparare a qualsiasi cosa non abbia il loro cognome, ma sono anche le persone che si sbatteranno letteralmente fino alla morte per dare al giovane Vance le opportunità di emergere. 
Illegalità diffusa, violenza gratuita, droga, alcool, omicidi, omertà, uomini che picchiano donne, uomini che abbandonano figli, etc etc.
Entra nell'esercito, poi va a Yale con una borsa di studio per studenti poveri. 
Adesso è, lo ripeto, a 40 anni, candidato vice-presidente per gli Stati Uniti. 
E' un libro interessante, noioso, un incrocio tra autobiografia e saggio sociale.