The Sports Gene (Id, 2013): per 7 anni fino a dicembre dell'anno scorso ho lavorato per una persona famosa nel mondo per il suo contributo nel vasto, emergente e non esattamente definito settore della scienza sportiva.
In tutto quel periodo non ho mai letto nulla sull'argomento per divertimento, ma adesso che non lavoro più nel settore: mi manca.
David Epstein è un giornalista sportivo in senso molto lato. Scrive per Sport Illustrated che, a parte essere famoso per le fighe in copertina, è una delle più illustri riviste sportive al mondo, e il suo soggetto di riferimento è il rapporto tra genetica, educazione e atletismo.
Cito: the "great nature-versus-nurture debate as it bears on sports [...] the answer is always: it's both".
Come si diventa grandi atleti? Talento preternaturale o sacrificio e allenamento?
Epstein risponde: entrambe le cose, sempre. E' la risposta corretta e reale ma non soddisfa la curiosità dell'interessato. In quale proporzione? In che modo? Vogliamo dettagli!
Condizioni sociali prolungate nel tempo influenzano i geni, e viceversa.
La povertà al livello del Terzo Mondo può costringerti a una vita letteralmente di corsa, dopo un po' di tempo questo stile di vita modifica per selezione i soggetti più adatti trasformando un intero paese in una fucina di corridori. L'educazione modifica i geni, ma i geni modificano l'educazione: se nasci predisposto per uno sport, ottieni successo in quello sport, e instauri un sistema di modello e inseguimento del modello, di selezione artificiale che promuove il talento attraverso la ricompensa del successo.
Epstein comincia esponendo la famosa teoria delle 10.000 ore.
In pratica: spendi 10.000 ore allenandoti razionalmente in una qualsiasi attività e diventerai un campione.
Il talento non esiste, dipende tutto da quanto tempo si dedica a qualcosa: addirittura si può quantificare un risultato medio per il successo.
Ecco... 'risultato medio' è il primo elemento chiave in questo saggio.
10.000 ore è una media: per diventare un campione a me potrebbero servirne 20.000, a un altro potrebbero basterne 1.000.
I primi capitoli mostrano situazioni paradossali, famose curiosità sportive.
Si inizia, in modo gradevole, con il baseball: esperimenti per testare l'esistenza di super riflessi nei battitori di maggiore successo finiscono invece per dimostrare l'inesistenza di super riflessi, ma scoprono l'esistenza di una capacità imparabile di riconoscere e prevedere l'esito di situazioni specifiche pertinenti il proprio sport.
I più grandi battitori MLB non hanno super riflessi o super vista, ma hanno imparato a riconoscere i segni di cosa sta per succedere e reagire prima degli altri.
Si parla di Jennie Finch, lanciatrice di softball che umiliò famosamente tutti i migliori battitori MLB pur tirando palle più grandi e più lente del normale nel baseball: non perché migliore di qualsiasi lanciatore MLB, ma a causa della diversità di movimento del softball rispetto al baseball che avrebbe impedito ai battitori di riconoscere e prevedere quei movimenti che il loro cervello associa a reazioni sportive di successo.
Si parla del saltatore olimpico svedese Holm e del suo successo completamente basato su allenamento smodato, che venne stracciato malamente da un caraibico senza esperienza e tecnica.
Si comincia a esporre il concetto di 'innate hardware e learned software'.
L'allenamento è necessario per migliorare ma, a parità di tempo speso ad allenarsi, chi parte avvantaggiato rimarrà avvantaggiato.
Nel terzo capitolo si torna a parlare largamente di capacità visiva e baseball: non è una questione di riflessi, dicevamo, ma di riuscire ad anticipare i segni. Vero. E' anche vero che, una vista migliore aiuta ad anticipare ancora prima e meglio quegli stessi segni.
L'allenamento consente di riconoscere i segni, il gene della vista migliore consente di farlo meglio.
Esempio famoso: Boris Baker e Steffi Graf vennero testati da bambini, insieme a tanti altri, e riscontrarono una vista molto superiore alla media. Lo scienziato che li testò previde allora un grande successo per entrambi.
Avere un hardware migliore e sottoporsi ad allenamento costante può rendere il successo sportivo persino prevedibile.
Così avevano fatto a loro tempo i tedeschi, ma non solo.
In Australia per decenni è esistito un programma di analisi e individuazione di giovani potenzialmente di successo nello sport, mirato al successo in determinati sport sulla base di test per diverse caratteristiche fisiche. Risultare fisicamente superiore da bambini avrebbe permesso a questi bambini di accedere gratuitamente ad allenamento e insegnamento.
Si parla della difficoltà di tradurre il successo da uno sport all'altro: Michael Jordan e il basket e dopo il baseball. Jordan aveva talento da vendere ma decenni di allenamento nel basket hanno condizionato il suo cervello rendendogli difficile convertire quel talento in un altro sport.
Finiti questi capitoli esemplari, il discorso diventa più uniforme e teorico: si presentano più statistiche e si traccia un ragionamento più omogeneo e interessante.
Si comincia a parlare di geni specifici.
Si comincia a parlare di differenze tra uomo e donna, di geni dell'atletismo comuni a tutti gli umani, e di nuovo di differenze, ma questa volta tra 'razze'.
Si parte con la Martinez-Patino famosa hurdler che venne privata dei suoi trionfi perché geneticamente maschio... per gli standard di allora.
Il discorso dell'identità sessuale su base genetica è complesso e, stando a Epstein, non definitivo tanto che gli organi di giudizio sportivo internazionali preferiscono evitare e intervenire solo in casi assolutamente notevoli. Tipo Caster Semenya.
Le differenze tra uomo e donna portano a parlare del successo dell'allenamento, letteralmente dell'allenabilità di certi aspetti fisici come la capacità polmonare e la resistenza.
Stesso discorso, nel capitolo dopo, per la capacità di sviluppo muscolare: viene introdotto il concetto di mutazione genetica 'positiva'. I muscoli possono svilupparsi solo fino a un certo punto, senza aiuti chimici, in relazione alle ossa: esiste una mutazione genetica che permette si raddoppiare questo limite. 
La scienza della antropometria, lo studio delle misure umane: fino al 1925 gli atleti inseguivano ancora il mito di Leonardo e l'uomo vitruviano. Non c'erano differenze fisiche sostanziali tra uno sprinter e un sollevatore di pesi.
... da allora lo sviluppo di body type specifici per ogni sport è la norma. Si parla di selezione artificiale e di come le organizzazioni sportive influenzino il successo in uno sport definendo le caratteristiche fisiche di successo.
La NBA è il massimo esempio: prima grande peso dato alla selezione di atleti alti, adesso non importa più che siano altissimi, importa che abbiano braccia lunghissime.
L'argomento basket introduce il tema più spinoso e quello dove lo scienziato si trova spesso a combattere contro la politica. La differenza tra uomo bianco e uomo nero.
Ogni studio che ponga accenti sulle differenze viene boicottato, per ovvi motivi, ma la scienza è molto chiara a riguardo: il colore della pelle è solo un segnale esterno, la reale differenza è puramente di origine geografica.
Vivere più vicini all'equatore condiziona le misure medie del fisico.
"Siamo tutti africani": una delle teorie più amate e odiate al mondo.
L'analisi genetica delle popolazioni del mondo dimostra che deriviamo tutti dall'Africa: ogni popolazione del mondo possiede tratti genetici esclusivi non presenti in altre popolazioni, presenti in tutti gli appartenenti di quella popolazione. Gli africani hanno tutti questi tratti esclusivi, ergo sono la popolazione originale di provenienza dei tanti Adamo ed Eva che hanno dato vita alle altre (super semplificata).
Avendo tutti i tratti genetici, gli africani hanno più probabilità di possedere tratti genetici utili per ogni sport.
Gli ultimi capitoli ci portano in Giamaica e Kenya: sprinter e maratoneti.
La storia ha selezionato queste popolazioni in vari modi, alterando i loro geni in base al successo: letteralmente selezione naturale per motivi sociali. Gli stati sfruttano questi motivi storici per selezionare artificialmente in modo ulteriore per il successo sportivo.
Persino la malaria può essere causa di alterazioni genetiche positive, oggi, per il successo in certi sport. Così come l'altitudine.
Allo stesso tempo, per esempio l'altitudine, sono condizioni non sufficienti in sé.
C'è l'esempio famoso del maratoneta Stefano Baldini, italiano: poca altitudine nella sua vita, niente malaria e condizioni sociali certamente non come quelle dell'Etiopia. Il suo successo è stato talmente inaspettato che lo Stato italiano non è interessato a cercare altri maratoneti.
Si parla di dopamina e il piacere di faticare. Si parla di mutazioni genetiche negative che causano la morte di atleti o una predisposizione a traumi cerebrali.
Si parla del dolore come di qualcosa che si deve apprendere, e conseguentemente anche non apprendere offrendo vantaggi e svantaggi sportivi.
Gli ultimi due capitoli (l'ultimo capitolo e l'epilogo) offrono la vita esemplare di Eero Mantyranta: il super campione di fondo finlandese.
Eero è crebbe nella Finlandia della Seconda Guerra Mondiale, una situazione dove doveva letteralmente sciare per vivere; poi nella Finlandia dopo la Seconda Guerra Mondiale, una situazione dove poveri sfigati come lui potevano sperare di fare due soldi solo grazie allo sci allenandosi come indemoniati.
Una storia di educazione sociale e allenamento che lo portò a vincere medaglie su medaglie.
Molti anni dopo Eero ha scoperto di possedere una mutazione genetica pazzesca che lo rende 'instancabile'. Il gene mutante della medaglia d'oro.
Quale dei due motivi gli ha dato maggiore successo?
Quando leggo un saggio così ben scritto e presentato, provo la stessa soddisfazione di quando finisco una perfetta storia d'amore.
The Sports Gene è uno dei saggi migliori che abbia letto.