Blood, Sweat and Pixels (Id, 2017): Jason Schreier è un giornalista di videogiochi e uno degli autori di Kotaku.
Questo è il suo primo libro ed è il racconto di 10 emblematiche storie di sviluppo di videogiochi, analizzando i problemi oggettivi e i motivi dietro la realizzazione di un videogioco, spiegando il come mai dei ritardi e dei bug. I racconti suonano fedeli e l'autore è molto trasparente nel citare fonti ufficiali e anonime per raggiungere la verità in questa sua inchiesta giornalistica.
La parola chiave del libro potrebbe essere 'crunching', l'attività di immolarsi lavorativamente, sacrificare vita personale e famiglie nel tentativo, spesso disperato, di far uscire in tempo un videogioco, dedicando settimane se non mesi di straordinari, niente vita fuori dall'ufficio con lo scopo di eliminare i bug, finire le ultime programmazioni e rilasciare il gioco senza fallire la data prestabilita.
Si comincia con Obsidian, storico studio sull'orlo del fallimento, rivitalizzatosi grazie a kickstarter e la produzione di Pillars of Eternity.
Si passa agli antipodi dello spettro con Naughty Dog e lo sviluppo di Uncharted 4: uno degli studi più potenti e abili del mondo con problemi causati dal troppo successo di un loro progetto collaterale, Last of Us, conseguente perdita di solida organizzazione interna, perdita di membri chiave e ridistribuzione di risorse.
Altri antipodi: Stardew Valley e i giochi sviluppati amatorialmente da una persona sola. Problemi di incompetenza, mancanza di professionalità ed esperienza, eppure il successo grazie a Steam Greenlight e ottime idee.
Blizzard e Diablo 3, un altro super sviluppatore e un titolo attesissimo: troppe idee, troppe ambizioni e un lancio tra i peggiori della storia per bug e pessima ricezione. Uno dei capisaldi dell'iniziale orrore per il pay to win.
Si torna a studi in difficoltà con Ensemble e la realizzazione di Halo Wars: la difficoltà di passare dalla produzione pc a quella console, problemi di ingerenza da parte della casa madre (Microsoft) e la contraddizione tra motivi di business e scopi d'arte.
Sempre in tema di proprietari difficili: la malvagia EA e la sua acquisizione dell'amato sviluppatore Bioware. EA che distrugge Bioware e impedisce il corretto lavoro su Dragon Age Inquisition, i problemi legati al cambio di generazione tra console e del rispettare date d'uscita imposte dall'alto.
Ancora kickstarter e un piccolo (ma non da solo) studio di sviluppo con grandi ambizioni per la realizzazione di Shovel Knight... a dire il vero non c'è molto da vedere qui. Giusto per citare Nintendo, suppongo.
Il terzultimo capitolo è dedicato alla più famosa lotta per l'indipendenza nell'industria del videogioco con la separazione di Bungie da Microsoft. Bungie pensava di aver raggiunto il nirvana e il paradiso ma l'apparentamento con Activision e la scoperta di molte lacune interne alla struttura della società, le liti e il licenziamento di O'Donnell, hanno trasformato il super progetto Destiny in gigante dalle gambe d'argilla.
Il penultimo capitolo è invece il racconto di una storia esemplare quasi esclusivamente positiva: The Witcher 3. Gli amici di CD Projekt: studio fondato nel 1994 con solo, SOLO, 2 giochi sviluppati prima di Witcher 3. La purezza dura di chi fa da sé mettendo sulla linea tutto senza scendere a compromessi. Inoltre, videogiochi fatti in Europa! E' certamente la storia perfetta del metterci il tempo che serve, del curare ogni dettaglio, del rimandare se necessario e non piegarsi al vile denaro, e in cambio realizzare il videogioco più bello di sempre e fare una sbadilata di soldi. Sfortunatamente è un caso più che eccezionale e non un modello ripetibile (lo vedremo 'presto' con cyberpunk).
L'ultimo capitolo in questo crescendo di eventi unici è il fallimento e la cancellazione di Star Wars 1313, coinciso con l'omicidio di Lucasarts da parte di Disney. L'esatto contrario di Witcher 3 con i motivi economici che tranciano ogni elemento d'arte e piacere, con accordi da ultimo piano di grattacieli che distruggono la vita degli artigiani impegnati nella realizzazione dei prodotti.
A dirla tutta, il libro è un po' una palla e non offre granché in termini di emozioni: alcuni capitoli risulteranno più interessanti di altri a causa di personali apprezzamenti più o meno importanti per questo o quel gioco/sviluppatore. Le vicende si assomigliano alla fine un po' tutte.
Assolutamente consigliato a chi voglia fare dei videogiochi un lavoro.