Blade of the Immortal: distribuito all'estero da Netflix, è l'adattamento dell'omonimo manga di Hiroaki Samura... di cui non ho mai letto il finale. Potrei decidermi a farlo. Era uno dei migliori manga a suo tempo.
Il film è diretto da Takashi Miike, ma non si direbbe. Unisce due dei trend principali della cinematografia più recente del regista: l'adattamento di cartoni/manga e il film di samurai. Avrebbe quindi dovuto andarci a nozze. Nope.
Nel ruolo di Manji, appropriatamente privato della svastica sulla schiena (sostituita da un più innocuo kanji), troviamo Takuya Kimura, re mida dell'intrattenimento giapponese. Ex-boybander, super star televisiva, a suo tempo chiamato a interpretare il protagonista in Love and Honor di Yamada (il peggiore della trilogia, non per colpa di Kimura).
Nel ruolo di Rin, una stronzetta odiosa causa principale di tutti i difetti peggiori del film: incapace a recitare, una voce insopportabile, un atteggiamento fastidiosissimo. Presente le lamentele per l'interpretazione del protagonista nella versione animata di Black Clover? Si possono utilizzare tutte nei confronti di questa Rin.
Totalmente distrutta la personalità di un personaggio fondamentale del manga, ridotta a una ragazzina urlante e frignona senza motivazioni e forza.
La storia segue più o meno fedelmente i capitoli iniziali del manga, per poi lanciarsi in un casino di personaggi introdotti e tolti di scena in un attimo, un chaos di scene a cazzo fino a un finale più o meno risolutivo.
Troppo lungo, è decente fino a circa metà, poi diventa scarso.
Completamente assenti i tratti visivi caratteristici di Miike: nessun eccesso visivo, nessuna esagerazione narrativa, nessun elemento di personalità. Blade of Immortal avrebbe potuto essere diretto da chiunque.
Specialmente deludenti le scene di combattimento: niente di eccezionale, niente di notevole o memorabile.
Uno spreco di film. Uno spreco di adattamento.