Parole in Gioco (Id, 2017): l'autore di questo saggio di linguistica particolare è un professore di semiotica e di teorie della creatività, già pubblicato con diversi libri specializzati sul tema dei giochi linguistici in senso estremamente lato. E' anche direttore di eventi dedicati al gioco e alla lingua.
Stando alla wikipedia è figlio di un 'famoso enigmista', anche se non mi è chiaro cosa possa voler dire, e fratello del direttore della Settimana Enigmistica. Una famiglia, una vocazione.
E' uno studioso per passione e professione di una materia straordinariamente specifica: le attività ludiche a base di parole. Giochi di parola, nel senso quasi di figure retoriche, ma anche più prosaici cruciverba e filastrocche: ogni possibilità di giocare con le parole, letteralmente.
Il primo capitolo del libro è giustamente introduttivo: si stabiliscono alcune nozioni base di linguistica, tipo il rapporto tra significante e significato (distinzione che l'autore non apprezza, ma uso per semplicità), mostrando alcuni esempi di quella famosa convenzione che ci permette di essere capiti. I limiti di questa convenzione diventano il gioco, definito dall'autore come l'oscillazione tra regole e libertà.
Nei capitoli successivi, l'autore divide i giochi di parole in due gruppi principali, due 'livelli': il primo livello è quello dei giochi di parole estemporanei, d'aspetto puntuale, quelli in senso stretto come calambeur, bisticci, freddure e doppi sensi; il secondo livello è invece composto dai giochi con le parole, dai quiz televisivi ai cruciverba, passando per libri gialli, indovinelli e tutto ciò che è strutturato e interattivo.
C'è un lungo capitolo sulla distinzione tra enigma e indovinello; uno per spiegare come l'enigmistica sia un fenomeno propriamente italiano (la Settimana Enigmistica è pubblicata dal 1932) con pochi paralleli nel resto del mondo, e in nessun caso così pervasivi della cultura popolare.
E' in questi due capitoli che il testo compie la svolta più tecnica che caratterizzerà l'ultima parte, occupante da sola quasi metà del volume: la prospettiva creativa di una semiotica specifica dei giochi linguistici, l'analisi dell'ambiguità, una breve storia buffa di Saussure.
L'approfondirsi dei temi segna una svolta decisa nel linguaggio dell'autore, che abbandona i toni divulgativi e si immerge nel gergo: non è fuori luogo, è il vero fulcro del volume, ma coincide con una perdita d'interesse verso la lettura.
C'è un po' troppa disparità tra le metà del libro, ma è un bel saggio su un argomento che, impensabilmente, ci caratterizza come popolo.