A Hundred Thousand Worlds (Id, 2016): durante la lettura di questo notevole romanzo d'esordio mi sono trovato spesso a pensare 'grande libro', spesso 'cagata'.
Una delle prime cose che pensavo avrei scritto iniziando questo post è: "notevole romanzo d'esordio che rimanda immediatamente il pensiero al Chabon di Kavalier and Clay".
E' circa la terza cosa che si vede accedendo alla pagina amazon dedicata al romanzo, ha stemperato il mio entusiasmo da critico originale.
E' un bel romanzo ma ha molti problemi sintetizzabili in uno unico: le parti sono meglio dell'insieme, i dettagli sono meglio degli aspetti centrali. I personaggi secondari sono meglio di quelli principali, le situazioni dei personaggi secondari sono più interessanti di quelle dei principali.
La racconto in modo lineare: 6 anni prima, la donna era la co-lead in una super cool, super amata serie tv fantascientifica; la donna era sposata con il co-lead, insieme un figlio. Succedono cose: la serie finisce una stagione prima del previsto, la donna fugge da Los Angeles trasferendosi a New York. Porta il figlio con sé.
Non esattamente un rapimento, visto che il padre/marito non era interessato a fare il padre.
Sei anni dopo, presente del racconto, il padre/marito vuole fare il padre (per un motivo o l'altro): l'accusa di rapimento aleggia nell'aria.
Madre e figlio partono per un road trip con destinazione Los Angeles, passando per Cleveland e Chicago, fermandosi in 3 distinte Convention: piccola e dedicata esclusivamente ai fumetti, più grande e mista, gigantesca e dedicata a praticamente tutto tranne i fumetti.
Il romanzo esplora due soggetti: il rapporto madre/figlio/padre-assente-ma-presente e il mondo/industria dell'intrattenimento a fumetti.
La storia della famiglia è abbastanza noiosa con personaggi dotati di finte profondità, per lo più monodimensionali e irrealistici: non so se l'autore, Bob Proehl, abbia tratto dalla propria esperienza personale... tutta la dinamica sembra stereotipata, idealizzata e assolutamente non vissuta.
La madre è un trainwreck isterico capace solo di agire sulla base di mal guidate emozioni, il padre è un vanesio praticamente senza qualità positive (anche quando agisce in modo positivo c'è sempre un ambiguità sulle sue reali motivazioni), il figlio è uno di quei tragici personaggi che non sono bambini ma adulti nani.
Tutto diverso il contesto intorno: il setting fumettistico.
Ci sono lo scrittore e il disegnatore che lavorano per la casa indipendente e hanno un moderato successo; c'è la scrittrice di successo che lavora in un industria quasi totalmente maschile.
Ecco, una cosa interessante: Proehl racconta perfettamente l'industria e il mondo dei fumetti, forte di un passato da circa-insider, ma è il racconto dell'industria dei fumetti com'era 10 anni fa circa, anche qualcosa di più.
Questi personaggi sono molto più umani piacevoli, anche quando (o forse proprio perché) risultano evidentemente ricalcati su persone vere e note dell'industria.
Questo gioco di riferimenti è un altro dei punti forti/deboli del libro.
I riferimenti sono tanti e spesso dedicati ai fan più introdotti: ci sono due case editrici fondamentali, la Timely (Marvel) e la National (DC)... i nomi non sono scelti a caso ma a loro volta riferimenti precisi e dotti; l'autore conosce i fumetti e il geekdom in genere e tutte le sue citazioni sono appena appena nascoste quel tanto che basta da solleticare il nerd, ma abbastanza visibili da non richiedere chissà quale sforzo o essere mancate.
La mancanza d'esperienza dell'autore, o un eccesso di esuberanza, viene tradita dall'abuso anche ottuso di queste citazioni: i personaggi dei fumetti raccontati dalle due case editrici sono pura banalità; così come intitolare le tre parti componenti il libro con i classici Golden, Silver age e Modern Age; così come utilizzare citazioni dirette da Kirby e Lee usando però i loro nomi di battesimo.
C'è, per dire, uno show televisivo inglese in onda da più di 50 anni che si chiama The Curator.
Tornando a Chabon: l'organizzazione della struttura narrativa è molto meno omogenea ed esperta rispetto a quella del molto più famoso autore, qui i capitoli si susseguono in forma slegata con il racconto non impostato come un flusso continuo quanto piuttosto come una serie successiva di scene/istantanee. I passaggi da una all'altra non sono noti: una serie di sketch in cui si mescolano estratti di vita complicata da madre single, con cartoline dal dietro le quinte (ma anche dal davanti) del mondo dei fumetti e delle convention.
Fan adoranti, fan squilibrati, divinità dell'intrattenimento, professionisti a mezza via, cosplayer, organizzatori, etc etc.
Il tutto eccessivamente intersecato da tentativi di meta-meta-metafiction dove tra un capitolo e l'altro si trovano inserti dedicati a episodi dalla serie tv, storie delle origini di alcuni dei supereroi; tutti questi inserti utilizzati per comunicare qualcosa dei personaggi principali in un gioco di ibridazioni che fallisce più spesso che riuscire.
Così com'è è un buon romanzo decisamente pretenzioso, se il dramma famigliare fosse stato fortemente ridotto e trasformato in una semplice storia di separazione e straniamento, il libro ne avrebbe goduto, perso in patemi intuli, avrebbe potuto concentrarsi sul raccontare il colore intorno alle Convention, che sono senza dubbio le parti migliori del romanzo e validissime da leggere.
SPOILER
Il figlio va a vivere con il padre, il film su Anomaly non si farà; le motivazioni di Andrew rimangono ambigue fino alla fine: vero desiderio di paternità o tentativo di costringere la ex-moglie a partecipare al film? Entrambe le cose, ed è la risposta più scema.
La DC Comics ne esce malissimo, la Marvel e Quesada ne escono come dei santi: alla fine tutti (ma proprio tutti) vanno a scrivere per la Marvel e sono felici. Gail e Brett finiscono per lavorare insieme.