The Only Rule Is It Has to Work (Id, 2016): con la stagione MLB agli sgoccioli e le finali sospettosamente arrivate a gara 6, forte della mia prima vittoria in una lega di fantabaseball, incipiente pre-astinenza da baseball, un libro sul baseball è quello che ci vuole come lettura dimentica-trasloco.
Ben Lindbergh e Sam Miller sono due scrittori sportivi, conducono insieme un podcast dedicato al baseball e sono 'esperti' di statistiche avanzate, lavorano a vario titolo entrambi per Baseball Prospectus.
Nel 2015, un po' per stunt pubblicitario, un po' per esperimento socio-sportivo, un po' per divertimento e un po' seriamente, furono 'ingaggiati' dai Sonoma Stompers per dirigerne le operazioni relative al baseball (chiarirò dopo).
I Sonoma Stompers sono una squadra appartenente alla Pacific Association, una delle tante leghe di baseball indipendenti non affiliate alla Major League.
Come certo saprete, le squadre delle leghe minori ufficiali del baseball sono banchi di prova e sviluppo per le squadre di major league e hanno poco/zero controllo sui propri giocatori; le squadre delle leghe indipendenti sono... indipendenti.
Presente Moneyball? All'ennesima potenza.
The Only Rule Is It Has to Work è la versione LARP del fantabaseball.
Il libro si sviluppa metodicamente a capitoli scritti alternatamente dai due autori, per questo motivo i due autori diventano spesso anche personaggi del racconto dell'altro: l'effetto è molto gradevole, si può dubitare dell'onestà complessiva, ma il risultato è certamente verosimile.
Una lega indipendente ha pochi soldi e, quindi, pochi mezzi tecnologici e poco personale: non è il terreno abituale di chi lavora con le minuziose ed esuberanti statistiche MLB fatte di mille telecamere, analisi digitali e capillari di ogni gesto atletico; applicare un approccio moneyball in un ambiente arretrato come quello delle leghe indipendenti, si dimostra arduo e non del tutto convincente.
I nostri due autori/protagonisti ci raccontano tutta la storia dai primi contatti fino alla fine della stagione, come sono arrivati a gestire una squadra di baseball, il draft e la scelta dei giocatori, il rapporto con i giocatori e gli altri strutturati classici, gli scontri tra la loro visione all'avanguardia e quella tradizionale dello sport, lunghe cronache di partite chiave e di eventi fuori e dentro gli spogliatoi.
E' un gran bel libro di baseball dedicato a un pubblico dedicato, è anche un'idea dalla premessa scema.
...per i motivi di cui sopra.
I due autori sono onesti, a mio avviso, ma tutto si restringe a questo concetto: noi viviamo e respiriamo statistiche, nelle leghe indipendenti è impossibile raggiungere la qualità e quantità di statistiche necessarie a trarre conclusioni valide, abbiamo provato a risolvere questo problema, non ci siamo riusciti.
C'è l'aspetto di gestione della squadra di baseball, che è grande e super, ma c'è molto anche il fallimento dell'idea, che è una rottura e un'ovvietà.
Volevano gestire una squadra basando ogni decisione sulle statistiche in un ambiente senza statistiche.
C'è un difetto originale, un peccato originale che si mostra costantemente attraverso tutto il libro minando il senso complessivo dell'operazione.
Quante volte si può leggere il ricordo di uno degli autori sull'insufficienzza dei numeri per arrivare a elaborare una vera statistica, prima di cominciare a mettere in dubbio l'intelligenza stessa dell'autore?
Tolto questo punto, il libro è divertente e affascinante e corrisponde al sogno di tanti (magari non qui da noi) di essere NEL mondo del baseball, e non un mero spettatore.
...ma è anche il libro perfetto per il mero spettatore che ogni partita di baseball telefonerebbe al manager per dirgliene quattro su come si gestiscono bullpen e lineup.