The Man from Nowhere (Ajeossi/Ajusshi): dramma d'azione coreano del 2010 di eccezionale successo in patria, sparsamente distribuito in occidente.
Il titolo originale è il classico 'uncle' senza parentela molto usato anche in Giappone, i sottotitoli inglesi lo traducono con un più comprensibile 'mister'.
Il regista è un tale Lee Jeong-beom con pochi film alle spalle (questo il secondo) ma tutti clamorosi per ricezione pubblica e critica.
Protagonista principale è Won Bin, attore che ricordo dai miei tempi di furore coreano per Guns & Talks e Taegukgi.
Verso la fine c'è un bellissimo combattimento al coltello, uno dei migliori: il film però gravita solo in minima parte verso l'azione hard boiled.
C'è 'sta stronza tossica che ruba un panetto di eroina alle persone sbagliate, la tossica ha una figlia e insieme vivono in un cesso di condominio che ospita anche la casa e il pawn shop del nostro protagonista.
Il nostro protagonista è taciturno, asociale e se ne sbatte un po' di tutto e tutti, inoltre è il proprietario di un pawn shop, non esattamente amabile: è l'essere umano migliore nel contesto schifoso del condominio e della vita a cui è costretta la figlia della tossica.
Tra i due si instaura un classico rapporto padre-figlia senza sorprese che, curiosamente, ricorda il romanzo Tigerman che, per pura coincidenza, ho finito pochi giorni fa.
I proprietari dell'eroina beccano la tossica, rapiscono lei e la figlia. Won Bin s'incazza.
S'incazza di brutto.
A questo punto il film diventa il remake coreano di Taken.
Trama non originale, dialoghi blandi con qualche sparata non proprio sensata del protagonista (comunque è fortemente disturbato); belle performance degli attori, tutti quanti senza esclusione: persino la bambina è più che tollerabile.
Regia intensa senza esagerazioni artistiche o epico-romantiche, funzionale ed espressiva, intesa a mostrare il meglio delle scene e nel modo più chiaro possibile. Tempi spediti, editing veloce: è un film abbastanza lungo, più di due ore, ma senza punti morti o scene da mandare avanti.
Guardarlo per le sole scene d'azioni sarebbe uno spreco, intorno alle scene d'azione c'è un bel film drammatico con scene emozionanti e un bel pathos.
L'unico elemento davvero di troppo, ed è comunque una piccola cosa che rende questo un dei film più equilibrati mai usciti da un coreano, è l'epilogo. C'è un finale che funziona egregiamente, poi c'è un epilogo che sostanzialmente ripresenta la stessa scena del finale ma di giorno.
E' ridondante ma sinceramente di poca importanza nell'economia del film.
Il titolo originale è il classico 'uncle' senza parentela molto usato anche in Giappone, i sottotitoli inglesi lo traducono con un più comprensibile 'mister'.
Il regista è un tale Lee Jeong-beom con pochi film alle spalle (questo il secondo) ma tutti clamorosi per ricezione pubblica e critica.
Protagonista principale è Won Bin, attore che ricordo dai miei tempi di furore coreano per Guns & Talks e Taegukgi.
Verso la fine c'è un bellissimo combattimento al coltello, uno dei migliori: il film però gravita solo in minima parte verso l'azione hard boiled.
C'è 'sta stronza tossica che ruba un panetto di eroina alle persone sbagliate, la tossica ha una figlia e insieme vivono in un cesso di condominio che ospita anche la casa e il pawn shop del nostro protagonista.
Il nostro protagonista è taciturno, asociale e se ne sbatte un po' di tutto e tutti, inoltre è il proprietario di un pawn shop, non esattamente amabile: è l'essere umano migliore nel contesto schifoso del condominio e della vita a cui è costretta la figlia della tossica.
Tra i due si instaura un classico rapporto padre-figlia senza sorprese che, curiosamente, ricorda il romanzo Tigerman che, per pura coincidenza, ho finito pochi giorni fa.
I proprietari dell'eroina beccano la tossica, rapiscono lei e la figlia. Won Bin s'incazza.
S'incazza di brutto.
A questo punto il film diventa il remake coreano di Taken.
Trama non originale, dialoghi blandi con qualche sparata non proprio sensata del protagonista (comunque è fortemente disturbato); belle performance degli attori, tutti quanti senza esclusione: persino la bambina è più che tollerabile.
Regia intensa senza esagerazioni artistiche o epico-romantiche, funzionale ed espressiva, intesa a mostrare il meglio delle scene e nel modo più chiaro possibile. Tempi spediti, editing veloce: è un film abbastanza lungo, più di due ore, ma senza punti morti o scene da mandare avanti.
Guardarlo per le sole scene d'azioni sarebbe uno spreco, intorno alle scene d'azione c'è un bel film drammatico con scene emozionanti e un bel pathos.
L'unico elemento davvero di troppo, ed è comunque una piccola cosa che rende questo un dei film più equilibrati mai usciti da un coreano, è l'epilogo. C'è un finale che funziona egregiamente, poi c'è un epilogo che sostanzialmente ripresenta la stessa scena del finale ma di giorno.
E' ridondante ma sinceramente di poca importanza nell'economia del film.
Un Man of Fire con gli occhi a mandorla che mi ha convinto parecchio nonostante di base non gli avrei dato due lire. Belle anche le scene action Talk0
RispondiElimina