Prince of Persia: constatando il forte calo d'interesse per il personaggio e il gameplay creati nella (ora) trilogia delle Sabbie del Tempo, gloriosamente iniziata dal Prince of Persia del 2003, Ubisoft ha ben pensato di seguire le principali correnti del mercato moderno e realizzare, sotto lo stesso brand, un gioco tutto nuovo fortemente debitore di tutti i trend recenti. Non lo dico come critica negativa, prima di diventare stereotipi tutte le nuove idee sono ripetutamente ben venute. Abbiamo quindi un reboot, parola inglese entrata a far parte della sempre meno stretta cerchia dei termini comuni, e conseguente approccio tutto nuovo a come dovrebbe essere un Prince of Persia; parallelamente i programmatori hanno voluto inserire l'elemento cooperativo che oggi sembra non poter mancare nei giochi, gli eroi solitari sono sempre meno, da Ico fino all'imminente Resident Evil 5 pare necessario avere almeno 2 personaggi a schermo. In Prince of Persia questa cooperazione è fittizia, Elika, la co-protagonista, è in realà una funzione dipendente del principe: corrisponde al tasto magia e non c'e' interazione tra i due che non sia puramente narrativa o scenica. Ultimo: per tanti anni si è discusso sull'artisticità dei videogiochi, personalmente è una battaglia che non mi ha mai toccato. Quelli della mia generazione ''lottarono'' per il fumetto, la natura artistica dei videogiochi è data per me: a quanto pare, senza clamore, è ormai data per tutti; sono sempre più i giochi che, falsando più o meno il senso della propria natura, diventano artistici negli aspetti prettamente visivi della realizzazione. Prince of Persia è caratterizzato da uno stile grafico e da un attenzione al design che lo inseriscono a forza in quella schiera il cui più alto, recente, rappresentante è Okami, senza però dimenticare lo stesso Ico e seguito. Non sto a descrivervi la natura acquarellata del gioco, il cell-shading o variante della tecnica adottato: gli screen che potete trovare in giro parlano da sé. Il gameplay adotta una variante ripresa dal titolo originale: a differenza di Sands of Time e seguiti, qui combattimento e sezioni platform sono distintamente separate; Prince of Persia non è un action 3d in stile God of War, il comportamento del principe varia a seconda che la spada sia sguainata o meno, e non il giocatore a scegliere: con variazioni sulla linea la sequenza prevede che il livello inizi con un giro di corsa e salti, si concluda con il combattimento con il boss. I tasti cambiano funzione contestualmente alla situazione. I controlli di Prince of Persia sono uno dei punti di forza maggiore, sono precisi, evitano qualunque smashing forsennato (anzi lo penalizzano) e richiedono al giocatore di interpretare i percorsi da seguire imparando seguenze e timing degni di un laser game. Il gioco è su binari, certo: è possibile scegliere quale binario seguire ma è quasi sempre impossibile affrontare il percorso dal punto A al punto B in più di una maniera; questa scelta genera il classico senso di frustrazione da platform, violentemente mitigato dall'estrema facilità del gioco e dal suddetto sistema di controllo: una volta messo il principe in moto il giocatore potrebbe, anzi può, tranquillamente lasciare andare gli stick direzionali e limitarsi a premere i tasti azioni sulla base degli ostacoli incontrati, la corsa e la direzione diventano automatici e l'unica necessità è quella di capire quale tasto si dovrà premere, il resto viene eseguito dinamicamente ma automaticamente. I controlli stessi sono molto semplici, al principe bastano 4 tasti per fare tutto, 3 soli per la maggior parte dei livelli: un tasto per il salto/attacco acrobatico, un tasto per la magia/attacco magico, un tasto per il grab/attacco presa... il quarto tasto serve a sventolare la spada quando questa sia stata sguainata. Allo stesso modo nel combattimento diventa tutto una questione di combo: una volta iniziato l'attacco basta solo schiacciare i tasti nell'ordine convenuto. I programmatori si sono impegnati a diversificare il contesto, il gameplay è comunque ripetitivo e stanca quasi immediatamente: i combattimenti poi sono farciti degli inutili action time event che, entusiasmanti in Shenmue, qui contribuiscono ancora di più alla sensazione Dragon's Lair. Il gioco resta divertente ma non c'e' mai sfida: il Principe non può morire, sbagliare un salto porta a infinitamente ripeterlo senza penalizzazione. La trama è altrettanto semplice: il principe, che viene chiamo principe ma di cui non sappiamo nome, provenienza o altro e che, dall'aspetto, sembrerebbe un semplice ladro, incontra una bella principessa di un regno desolato e abbandonato dove un Dio malvagio sta per risvegliarsi e distruggere il mondo; come in Okami sarà necessario attraversare vari livelli grigi e neri, arrivare alla fine, e curare la Terra riportando natura e colori. Esattamente come in Okami. In compenso, strizzando l'occhio ai precedenti Dark Prince, il finale regala un colpo di scena inaspettato e niente male: promettendo in maniera non banale un seguito che, forse, non verrà realizzato così presto data la ricezione mediocre ottenuta dal gioco. Sempre sullo stesso piano l'ottima caratterizzazione dei personaggi fornita dai dialoghi, e i molti dialoghi scritti per commentare la situazione specifica vissuta dai due protagonisti nel livello come anche momenti di pausa nei passaggi da uno all'altro. Una cosa che ho realmente poco apprezzato da parte di Ubisoft sono stati gli inutili riferimenti incrociati con Assassin's Creed.