Appaloosa: otto anni dopo Pollock, Ed Harris torna per la sua seconda regia, coproducendo e coadattando, nonché interpretando, l'omonimo romanzo western di Robert Parker; niente a che vedere quindi con il film, quasi omonimo, con Marlon Brando di metà anni '60. Da qualche anno a questa parte, pur non potendo parlare di un ritorno di fiamma, il genere western è comunque stato presente in ogni stagione cinematografica americana: spesso dando l'opportunità a qualche attore sul viale del tramonto di ricaricare la propria carriera esprimendo sentimenti personali in quello che è l'ultimo romanticismo esistente, Kevin Costner e Robert Duvall, Pierce Brosnan e Liam Neeson; il pubblico approva, il botteghino conferma: tanto che due anni orsono il tutto porto a due produzioni principali, opposte tra loro ma ugualmente un fiasco, il Jesse James di Pitt e Yuma della coppia Crowe-Bale. Chiusa questa parentesi commerciale-festivaliera il western può tornare a essere ciò che si è trovato a essere, ecco quindi Ed Harris e Viggo Mortensen, insieme a Jeremy Irons e Lance Henriksen. I due protagonisti sono law enforcer, sceriffi a pagamento, killer con il distintivo, assassini prezzolati ammantati di legalità: vanno in un paese in mano a criminali, vengono eletti marshall, ammazzano i criminali, prendono lo stipendio e se ne vanno. Il rapporto tra i due protagonisti è uno degli elementi più originali in questa produzione, non per la dinamica, piuttosto semplice con Ed Harris nel ruolo del pistolero invecchiato e Mortensen nel suo fedele erede, ma per la profondità e la chiarezza della visione: Harris è un pistolero di fama, temuto, evidentemente illetterato con la volontà di imparare anche nella sua tarda età e di migliorarsi, Mortensen è leale e ubbidiente in modi che di solito andrebbero contro l'immagine della spalla cool, alla quale si chiederebbe maschia e onesta ribellione; Mortensen funziona perfettamente, umile, pronto ad assistere e vicino al partner in modi che neppure una moglie potrebbe: tra i due si sviluppa e viene mostrata una perfetta reciprocità, tale da rasentare facili ironie ma perfettamente coordinata e particolareggiata, vero virile cameratismo. Senza parlare, in qualunque circostanza, dalla sparatoria al caffé il personaggio di Mortensen assiste quello di Harris con precisione e familiarità. Piacerebbe leggere il romanzo ma sicuramente la regia sostiene ed elabora il tutto con la massima lucidità, impietosa di tanto in tanto, e diretta visibilità. Però non è una moglie. Ecco quindi entrare in scena l'unico reale personaggio femminile, interpretato da quella cagna della Zelweger che, da un momento all'altro, non si riesce a non immaginarsi pronta a buttare fuori uno dei suoi brevettati ''If you need help, here I am'' di memoria oscariana. Quando entra in scena mi sono detto: ''ecco che il film diventa una merda''; Harris lo fa credere per una mezzora circa poi tira un secco colpo di redini e conferma la bontà della sceneggiatura e la compostezza della narrazione, niente stronzate siamo in un western. Il finale regala qualche attimo di gloria ma il tono piano pervade tutti i minuti del film senza picchi o cadute, esponente di classe del suo genere.