Stan Lee (True Believer, 2021): "la storia della Marvel nella vita di un creativo e uomo d'affari amato e controverso".
L'unica pecca dell'edizione italiana dell'ultima biografia dedicata a Stan Lee è il titolo. E la copertina.
"The Rise and Fall of Stan Lee" ha decisamente più senso che quella frasetta sulla storia della Marvel che ho citato sopra scelta da Rizzoli. 
La foto di Lee nella copertina dell'originale, inoltre, dà molto più l'idea del tono della biografia, rispetto all'immagine istituzionale utilizzata per la versione italiana. 
Tutto ciò detto. 
Autore del libro è Abraham Riesman, giornalista americana autrice anche di una successiva biografia di Vince McMahon. 
Chi conosce Stan Lee per le sue comparsate nei film Marvel e genericamente come il creatore dell'universo Marvel, troverà in questo libro un'incredibile quantità di rivelazioni, sorprese e dramma; chi, come me, segue (ha seguito) i fumetti da sempre ed è stato anche solo vagamente interessato alle vite dei loro autori e, magari, anche al funzionamento delle rispettive società, troverà approfondimenti di fatti già noti. 
Aldilà della vita e della carriera di Lee, il libro porta avanti due temi centrali: l'annosa e irrisolta questione se Stan Lee sia stato davvero un genio creativo senza pari, o un furbissimo ladro e truffatore che si appropriato delle idee di altri (soprattutto, ma non solo, nei riguardi di Kirby); la rovinosa presenza nella sua vita della moglie spendacciona, della figlia squilibrata e di un entourage, specialmente negli anni della vecchiaia, di parassiti e sanguisughe che l'hanno maltrattato, vessato, derubato e distrutto. 
Il libro parla ampiamente delle cause legali che l'hanno visto coinvolto negli anni contro i suoi editori, ex-società, colleghi e altri; il libro riporta frequentemente le drammatiche, tristissime e criminali registrazioni che l'anziano e indebolito Lee accettò di realizzare per scagionare o accusare, di volta in volta, a turno a seconda di chi fosse più influente in quel momento, le persone sopracitate. 
E' una lettura inaspettatamente molto piacevole, plauso al traduttore. 
E' una biografia onesta, un po' scandalistica, che cerca di districare la matassa delle bugie e delle esagerazioni, di trovare la verità nella storia di un uomo famosissimo che alcuni considerano uno dei più importanti e influenti creativi americani di ogni tempo, altri uno dei peggiori truffatori di sempre.
Alcune cose sono note e accertate: Stan Lee raccontava cazzate, un millantatore più che un bugiardo patologico, un uomo di umili origini che ha scalato le vette mentendo sul proprio curriculum, per così dire, e poi di volta in volta cercando di creare la propria leggenda riscrivendo il passato, fingendo e simulando qualità, talenti e conoscenze inesistenti. 
Sullo sfondo, raccontato in modo estremamente neutrale, c'è il mondo della società ebraica americana di quel giro di anni (parliamo soprattutto dalla fine dei 40 agli anni 70 del 1900): chiamatelo nepotismo, chiamatelo supporto. Essere ebrei apriva alcune porte in quegli anni (ne chiudeva anche). 
Stan Lee ha inventato l'universo Marvel? Lui ha sempre detto di sì e da solo; molti suoi colleghi lo hanno accusato tutta la vita di essere un ladro e un bugiardo. 
Nessun tribunale è riuscito a stabilire la verità sull'argomento, questo libro non ci prova neppure: quello che l'autore fa, invece, è darci i termini per sviluppare un opinione. 
Stan Lee era un bugiardo a cui piaceva esagerare come ai pescatori o i politici; i contratti e il riconoscimento delle proprietà intellettuali nell'America di quegli anni, particolarmente in questo settore, è qualcosa che è stato criticato, denunciato e odiato da sempre e da tutti. Non solo in Marvel. 
Pensate al povero Bill Finger. 
Ha mentito anche sul suo ruolo nella creazione dell'Universo Marvel? Non lo sappiamo, ma è probabile che abbia quanto meno esagerato e, certamente, ha lavorato per escludere chiunque altro da questo riconoscimento. 
Altre cose interessanti nel libro sono i tentativi di Stan Lee di sfondare nella tv e nel cinema, con la Marvel e con le sue successive attività; tutte esperienze fallimentari che hanno rischiato ripetutamente di mandarlo in rovina. 
Il successo televisivo e cinematografico Marvel, paradossalmente o forse no, è arrivato appena Lee è stato estromesso interamente dai processi produttivi e creativi. 
Disney ha continuato a lavorare per trasformarlo in un mito ma, forse, non nei modi che Lee avrebbe voluto: un vecchietto buffo e sorridente, invece di un grande creativo e businessman influente su tutto il mondo culturale e non solo quello del fumetto.
Il finale è triste: come altre celebrità di quel periodo storico, Lee è morto abbandonato, circuito, sfruttato, circondato da indagini della polizia e ambiguità. 
Il libro mi è piaciuto, potrei addirittura comprare quello su McMahon nonostante il mio completo disinteresse per il wrestling.