A History of the Bible (Id, 2019): mia moglie mi ha scacciato dal tempio (il divano + la televisione) per guardare Bridgerton, dandomi l'opportunità di concludere il mio sessantesimo libro dell'anno. Un libro su cui stavo cincischiando da giorni, settimane.
Stavo cincischiando intorno a questo libro ancora prima di leggerlo: avrei voluto comprarlo in italiano e ho aspettato più di un anno per qualche notizia su una possibile edizione tradotta, poi mi sono rotto e me lo sono preso in originale.
NOTA: carta finissima come le peggiori bibbie omaggio, font minuscolo, 490 pagine di testo e un altro centinaio per le note. Qualche riproduzione fotografica di pergamene, cartine e altro materiale del genere.
Questo saggio è stato variamente incluso nelle liste dei migliori saggi, etc etc. 
Parto dalla fine: è un bel libro. E' scritto bene, ma con stile tradizionale: manca di quel brio che rende particolarmente divertenti e godibili molti dei più approvati saggi contemporanei; è molto interessante e tratta argomenti che sono indubbiamente centrali nella nostra società, ma non così tanto... per me: ho scoperto abbastanza presto durante la lettura di non possedere una così viva curiosità per ogni singolo dettaglio inerente la bibbia. 
...e vi assicuro che questo libro sviscera l'argomento letteralmente in ogni. Singolo. Dettaglio.
Prima di passare al testo in sé, voglio dire un'ultima cosa: non mi sono informato sull'autore prima di cominciare la lettura. Mi sono informato adesso prima di cominciare a scrivere qui. Mi sono sorpreso di scoprirlo prete anglicano e teologo: avrei scommesso su un autore laico, non certamente su qualcuno spiritualmente investito sulla materia.
Probabilmente è il miglior complimento che si possa fare a John Barton. 
Critico e storico spassionato delle sacre scritture di ebrei e cristiani. Obbiettivo e trasparente in modi che non si è soliti associare con la sua scelta professionale. 
Aggiungo ancora una considerazione personale: la lettura di questo libro è stata inaspettatamente evocativa di ricordi e impressioni dalla mia (lontanissima) gioventù. Tutto il mio percorso scolastico, il mio 'percorso formativo' è stato fatto di suore e preti: sono cresciuto tra messe quotidiane e ore di religione non opzionali. Anticlericale e ateo a 15 anni (oggi più pazientemente agnostico), non ho mai (diciamo così) provato altro che buoni sentimenti verso la maggior parte dei preti che mi hanno educato (barnabiti): non è una prospettiva pop ma non ho sentimenti particolari nei confronti della chiesa, salvo un accademico desiderio che paghino le tasse, ma gli individui che mi insegnavano lettere, chimica e il resto sono state persone certamente centrali nella mia vita.
Non possedendo fede, fatico a comprenderla: la lettura di questo libro ha, se non altro, evidenziato e reso più chiaro quanto sia difficile avere fede, quanto sia facile confutare dottrine e miracoli e insegnamenti, quando diversa sia la religione dall'insieme delle sue manifestazioni terrene. 
Il libro è così diviso: introduzione programmatica. Vecchio testamento. Nuovo testamento. La bibbia e i testi annessi: commenti, apocrifi, manoscritti, edizioni e riedizioni. I significati della bibbia. Conclusioni. 
Barton mantiene con grande disciplina il difficile equilibrio tra rispetto del testo e del suo valore religioso, e la realtà storica della sua creazione e diffusione.
Nella sua parte iniziale, questo libro è come quelli sulla Questione Omerica: chi ha scritto la bibbia, quando, come? Si parla della lingua, del contesto storico, si analizza lo stile e, così facendo, questo saggio diventa per forza di cose anche un trattato di storia ebraica e cristiana.
La bibbia è una raccolta di libri che, a loro volta nascevano dall'aggregazione di diverse tradizioni orali sommariamente unificate. 
Barton non si sofferma sulla materia teologica, ma insiste precisamente nel mostrare e spiegare molte della tante contraddizioni narrative, chiari esempi della fusione di storie diverse e del lavoro di molti revisori successivi, tanto nel vecchio quanto nel nuovo testamento. Larga parte di questo libro è una vera e propria critica filologica delle fonti e degli autori, editori ed edizioni: inevitabilmente finisce per scontrarsi contro più aspetti della fede.
Riporto una frase che mi è piaciuta particolarmente, in mia traduzione parafrasata a memoria: il vecchio testamento è la letteratura di una nazione, scritto in diversi secoli e dal carattere istituzionale; il nuovo testamento è la letteratura di una setta, scritto in meno di un secolo e simile a certa stampa libera underground.
Pensavo sarei stato più attratto dal vecchio testamento, che invece è un marone senza fine; mi sono trovato molto più incuriosito a leggere la parte sul nuovo e riesaminare vecchi ricordi (indottrinamento? Chiamarlo così farebbe davvero torto a molti dei miei insegnanti) e confrontarli con questa interpretazione razionalista.
Faccio un esempio: Gesù parlava in aramaico, ma il nuovo testamento è in greco. Non esiste una citazione a lui attribuita che sia originale, sono tutte traduzioni con le relative implicazioni.
Nel parlare del nuovo testamento e sottoporlo alla stessa critica del vecchio, Barton mostra forse l'unico accenno di tentennamento: l'avevo attribuito al naturale desiderio di mantenersi rispettoso di un accademico, ma alla luce dei suoi voti è ancora più eccezionale come sia riuscito a non scomporsi. Barton ammette che smontare il sapere comune su autori, tempi e modi di produzione dei vangeli e degli altri libri del nuovo testamento sia avventurarsi su un terreno ancora più spinoso e incerto.
Ah, dimenticavo.
A proposito di rispetto: per ogni teoria, paragrafo e capitolo, Barton affronta l'argomento dalla prospettiva dei cristiani e da quella degli ebrei. Sempre calcando l'enfasi sulle similitudini e le diversità d'interpretazione, ricezione della bibbia.
A proposito di interpretazione: particolarmente interessanti, per me, sono stati i capitoli 13 e 14 relativi ai temi della bibbia, e al modo in cui rabbini e padri della chiesa si sono adoperati, facendo salti mortali, per consentire a testi scritti in epoche remote (di tradizioni molto discutibili) di essere interpretati, anche forzatamente, come significativo al giorno d'oggi (di allora e oggi).
Qui gli esempi si sprecano, ma il più simpatico è quello relativo al salmo dei 'fiumi di babele' (mi pare sia il nome, non ricordo il numero) dove si viene invitati a prendere i figli dei nemici e ammazzarli sbattendoli contro muri. Delizioso. Origene... Origene! Non uno oggi, ma uno morto approssimativamente nel 253, si era già posto il problema di come giustificare qualcosa di così barbaro ai fedeli di allora: i figli diventano i pensieri malvagi e tutta la bibbia, per magia delle parole, si trasforma in una grande allegoria.
L'interpretazione diventa un problema: per gli ebrei lo è molto meno perché hanno un rapporto diverso con la scrittura e i testi sacri, per loro (semplificando) l'interpretazione è parte integrale della fruizione dei testi sacri. Sono due momenti inscindibili del rapporto tra fedele, istituzione religiosa e ispirazione divina. 
Il problema ce l'hanno i cristiani: le interpretazioni diverse hanno causato scismi, scissioni e una quantità di guai a tutto il mondo. In questo, cristiani e mussulmani sembrano molto più vicini tra loro che i cristiani con gli ebrei. 
Questa sezione del libro è così pregna che la finisco con una citazione parzialmente virgolettata: quanto sopra è il prezzo che entrambe le religioni (ma i cristiani di più) pagano per avere "such a long, complex and internally inconsistent set of Scriptures".
Il saggio di Barton è omnicomprensivo e troverà parti interessanti per chiunque: vi interessa la storia? Check. La dottrina? Check. La razionalizzazione e lo scetticismo? Check. Siete bibliofili e vi interessa solo conoscere quante edizioni e come siano state pubblicate? Check. Avete fede e volete essere lasciati con un messaggio che non toglie valore? Check.
Tutto ciò detto... è un po' noioso.