Get Out: mia moglie ha insistito e devo darle atto di aver avuto ragione. Horror sensazione del 2017 da cui mi ero tenuto lontano a causa del buzz sociale annesso: non voglio del 'sociale' nei miei horror.
Sì, lo so: molti horror di fama sono satire sociali. Romero e bla bla bla.
Figo. Cool. Ok. 
Non mi interessa: nei miei horror voglio i mostri e l'orrore. 
...però.
Get Out ha la classica introduzione lenta di molti suoi pari, ma in questo caso, per quanto davvero lenta, è completamente, interamente e perfettamente necessaria a creare la superficie su cui appoggiare l'articolata costruzione narrativa messa insieme da Jordan Peele.
Jorda Peele è un attore e un comico abbastanza famoso: questa fu la sua prima regia, ma non la sua prima sceneggiatura. A questo punto, dopo aver ignorato anche quello, andrò a cercare il suo secondo film, uscito l'anno scorso: Us.
Torniamo a Peele: complimenti per il debutto. Impressionante e originale. 
Comincia come "Indovina chi viene a cena?". 
E' un'idea brillante: inizia letteralmente con le stesse, aggiornate premesse. 
Daniel Kaluuya è un fotografo newyorchese di colore, ed è romanticamente legato a Allison Williams, figlia di un'agiata famiglia bianca. Insieme vanno a trascorrere un fine settimana dai genitori di lei, perché lui li conosca. 
Isolata, splendida villa di campagna: la madre è psichiatra, il padre è neurochirurgo. 
Se avessero potuto, avrebbero votato un terzo mandato per Obama: sono super liberal, sono anche la perfetta rappresentazione del privilegio bianco (in)volontariamente ipocrita. 
I genitori invitano degli amici e tutta questa aristocrazia bianca è estasiata dall'avere un giovane nero della città in mezzo a loro. 
Un dettaglio alla volta, a piccoli passi ma ritmo serrato, Daniel comincia a notare qualcosa di strano e inquietante nella vita della (famiglia della) sua fidanzata. 
La sceneggiatura del film è particolarmente puntuale e riuscita nella descrizione del razzismo. 
Get Out non è un horror razzista di quelli con i tedeschi e gli esperimenti scifi durante la Seconda Guerra Mondiale, ma una rappresentazione realisticamente satirica del più subdolo e strisciante razzismo degli americani bianchi educati. 
Non è il KKK dell'America arretrata e rurale del Sud, violento e spregiudicato, conservatore e spaventato, ma l'atteggiamento entitled di una elite economica e culturale, la beneficenza dietro cui si nasconde un radicato e inattaccabile senso di superiorità.
Gli elementi d'azione del film sono secondari: Peele affronta l'azione in modo realistico, senza ricorrere alle banalità tipiche del genere, seppur non riuscendo a evitare certe soluzioni prevedibili e semplificate... ma d'altra parte è un film breve: sarebbe servito un minutaggio più corposo per garantire la presenza di qualche intricato sotterfugio d'azione applicato alla disperata lotta per la sopravvivenza del protagonista.
E' un film equilibrato che sbaglia pochissimo ed esalta la somma delle sue parti aldilà delle più rosee aspettative. 
NOTA: questo è il mio primo post con il nuovo blogger. Avevo chiesto a google una modifica durante la beta, non mi aspettavo sarebbe stata accolta, non penso di essere stato l'unico a richiederla, mi piace comunque di più la vecchia versione ma posso vivere con la nuova.
SPOILER SPOILER SPOILER
La figlia porta a casa giovani neri sani e belli, la madre li ipnotizza, insieme mettono all'asta il corpo, il padre trapianta il cervello di un ricco bianco vecchi nel giovane e forte corpo nero.
Alla fine si salva e li ammazza tutti.