Orbital (Id, 2024): potrebbe essere l'ultimo libro (finito) dell'anno. Ci sono ancora 10 giorni, ma il numero di pranzi e cene, e i litri alcolici che prevedo di assumere per sopravvivergli, mi fanno pensare che nel 2024 non ci saranno molte altre pagine lette. 
Quest'anno ho fatto qualcosa di diverso: invece di aspettare l'anno prossimo e poi comprare a ritroso, eventualmente, il vincitore del Booker Prize, l'ho preso immediatamente (ho fatto male). 
Ammetto di aver cominciato la lettura in maniera prevenuta, causa intervista dell'autrice nella quale si premura di farci sapere questo romanzo non essere, assolutamente, science fiction (bleah), ma un "pastoral" nello spazio. 
Stronza pretenziosa. 
Un 'pastoral', per la cronaca, è un'opera letteraria con una versione idealizzata della vita rurale; noi useremmo 'bucolico'. 
Ci sono 6 astronauti: 1 italiano maschio, 2 russi maschi, 1 americano maschio; 1 giapponese femmina, 1 britannica femmina. 
Sono a bordo della stazione spaziale e fanno le cose che fanno gli astronauti a bordo della stazione spaziale, e pensano. 
Il linguaggio è molto ricercato, eccessivamente per i miei gusti attuali: si sceglie continuamente una forma narrativa poetica, qua e là impreziosita da qualche parola rozza, persino volgare, posizionata ad arte per esaltare la bellezza linguistica circostante. I periodi sono costruiti su ritmi inconsueti, all'inizio non di facile lettura, ma non è una forma difficile od ostica: semplicemente l'autrice richiede un piccolo sforzo al lettore affinché possa davvero apprezzare l'alta letteratura proposta.
I capitoli sono brevi, composti da brevi paragrafi che possono saltare dal racconto di un singolo astronauta, ad altri plurali identificati da un cumulativo "they", altri ancora sono rivolti al lettore; gli astronauti pensano, i loro pensieri sono frequentemente esposizioni immaginate per il pubblico. 
Parallelamente alle riflessioni sull'infinità dello spazio, la Terra, la solitudine, la politica, la filosofia, la religione, l'amore, l'amicizia, la famiglia, la soddisfazione, l'insoddisfazione, la malinconia, il desiderio, etc etc, e il loro lavoro sulla stazione spaziale (frequentemente solo una scusa per posizionarli in attività, invece che fissi a fissare il vuoto o la terra, pensando), accadono 2 cose: c'è un mega uragano diretto verso le Filippine, c'è la preparazione finale e la partenza di una nuova missione sulla Luna. 
Ognuno degli astronauti ha un passato, a cui pensa, e famigliari, a cui pensa. 
Il lavoro sulla stazione è palloso e ripetitivo, ma essere nello spazio è tutto: ogni giorno lo spazio uccide un po' del loro corpo, e manca tutto della Terra, ma lo spazio è assoluto e niente altro importa.
Ricapitolando: Orbital è un insieme di riflessioni sulla condizione dell'essere astronauta nello spazio, la prospettiva unica che concede nel guardare ai fatti della Terra, la vita degli uomini e, specificamente, la propria. 
Sono 130 pagine circa, impossibile non arrivare alla fine; estremamente pretenzioso, è la quintessenza del librino trionfatore di festival letterari. 
NOTA: i capitoli sono identificati dalla posizione della stazione spaziale nell'orbita, è qualcosa di probabilmente preciso, l'autrice è stata assistita da NASA ed esperti, ma assolutamente non comprensibile; in fondo ad alcune pagine c'è una stellina tipografica, mi pare 3 in tutto il libro: non ne ho capito il significato.