Shadenfreude (Id, 2018): con questo poi, per un po', chiudo con i saggi della UTET consecutivi (ne ho diversi altri nella pila da leggere). Secondo libro per la storica culturale Tiffany Watt Smith.
Ho anche il primo, sempre UTET, ma ho preferito partire da questo perché più curioso e promettente.
La Tiffany Watt Smith non l'ho incontrata a caso sul sito della UTET, mi sono stupito di trovarla sul sito della UTET ma la puntavo già da qualche mese come una possibile 'compare' di Mary Roach.
Nope.
Ci sono delle similitudini, ma limitate.
Donne. Spiritose. Usano aneddoti buffi di vita personale per esemplificare le proprie ricerche.
Mary Roach è una giornalista, Tiffany Watt Smith è una seria storica che lavora per la Queen Mary University di Londra.
Shadenfreude! E' una parola composita inaspettatamente tedesca formata da "danno" e "piacere", ed è comunemente e internazionalmente usata come nome per quella particolare emozione di gioia che proviamo alla vista delle disgrazie altrui.
Il primo libro della Watt si chiama "Atlante delle Emozioni Umane" o qualcosa del genere (vado a memoria) ed è una panoramica di 150 e passa emozioni umane; in questo suo secondo libro si concentra su una specifica di queste emozioni umane, su quella che 'molti' ritengono essere la più rappresentativa della nostra società.
Shadenfreude! Una gioia malevola che impregna ogni angolo dei social network e del sistema delle celebrity.
Benvenuti nell'Età della Shadenfreude.
Il libro comincia con un breve excursus etimologico e una sintesi di storia della parola e sua crescente popolarità... di questo sentimento si parla da Platone, ma sono stati gli inglesi di fine '800 a marchiarne le caratteristiche e adottare la parola tedesca.
Il libro è diviso in 8 capitoli più 1.
Nei primi 8 capitoli si analizzano 8 diversi aspetti del sentimento: origine culturale specifica, tanto nella tradizione letteraria quanto in quella filosofica; possibili motivi evoluzionistici, argomento ricorrente in quasi tutti i capitoli: la shadenfreude sarebbe un resto emotivo dell'atavica lotta per la sopravvivenza, dove ogni cosa è competizione, ogni altro è un competitore e la sfortuna altrui si riflette in maggiori possibilità di sopravvivere.
NOTA: c'è tanta Italia negli approfondimenti culturali all'interno dei vari capitoli. Naturalmente italia classica dai Romani al Rinascimento, ma anche molta italia contemporanea e televisiva: sono espressamente citate fortunate trasmissioni come Paperissima e le Iene. Non viene fatto nessun esplicito riferimento al fatto che gli italiani siano particolarmente avvezzi alla Shadenfreude, ma dopo gli inglesi siamo certamente il popolo più citato. Probabilmente è solo dovuto alla professione dell'autrice.
Il libro si sviluppa per circa 200 pagine di testo, più le varie appendici dei saggi per gli approfondimenti e la ricerca.
Non dico che avrebbe potuto essere solo di 100 pagine, ma dopo il quarto o quinto capitoli, i concetti cominciano a diventare ripetitivi.
Si parte con le 'Disgrazie': i video su youtube delle figuracce, gli epic fail inaspettati che colpiscono le persone comuni e le mettono in imbarazzo. Non è commedia slapstick, non devono essere professionisti della risata: devono essere veri incidenti, tendenzialmente non mortali. Il concetto è quello di ridicolo. In questo capitolo si parla anche dell'origine psicologica della risata, si studiano i bambini per capire cosa sia 'divertente' e perché.
Nel secondo capitolo si parla di 'Gloria' e sport: corpi umani atletici che falliscono pietosamente con dolore, a volte morte, e per colpa di calamità naturali o umane. Questi fallimenti instillano un senso di superiorità e onnipotenza. Le tifoserie delle squadre godono di più dalla sconfitta degli avversari che dalle proprie vittorie.
Terzo capitolo è per la 'Giustizia'. "Karma is a bitch" e giustizialismo. Chi la fa, l'aspetti. La provvidenza che punisce chi ci ha fatto qualcosa.
Quarto capitolo è 'Autocompiacimento': molto simile a quello prima, ma qui ci si gode la punizione divina che colpisce l'autocompiaciuto, l'arrogante traboccante di hybris, pieno di sé che ha cercato di umiliarci e BAM!, viene sorpreso in un fallimento completo. Qui si parla anche di Cristiani: nella religione cristiana c'è una versione della Shadenfreude considerata positiva perché sarebbe il sentimento di gioia per la sfortuna altrui, che diventa per loro una lezione da imparare per migliorare se stessi. Si gode della sfiga degli altri perché la sfiga li renderà più forti.
A proposito di Cristo... quinto capitolo è 'Amore': quello tra fratelli e tra figli e genitori. I fratelli sono rivali e ogni loro sfiga li rende peggiori agli occhi dei genitori, quindi i genitori ameranno di più noi che non abbiamo sbagliato. Questa argomentazione si ripropone in ogni relazione esterna, dove gli errori degli altri ci mettono automaticamente in buona luce.
...da cui, capitolo sesto, 'Invidia': verso amici e verso sconosciuti celebri. Verso coloro che fanno meglio, riescono meglio, hanno avuto e hanno di più. Vederli cadere è una gioia.
...da cui, settimo, 'Ammutinamento': stessa roba di prima ma verso i colleghi di lavoro e, soprattutto, i superiori gerarchici.
...da cui, 8, 'Potere': stessa cosa ma di persone potenti tra loro, di persone non potenti verso persone potenti, di gruppi verso altri gruppi (politica ma non solo, simile al concetto di tifoseria: preferiamo che il partito degli avversari esploda in una palla di fuoco, a vedere il nostro risolvere i problemi del mondo).
L'ultimo capitolo è una somma di quanto detto e come dovremmo comportarci.
L'autrice offre questo capitolo partendo da un assunto che mi sono dimenticato di anticipare all'inizio di questo post: la maggior parte delle persone si sente in colpa per provare shadenfreude. Accorgersi di godere per le disgrazie altrui diventa un motivo di messa in discussione e di imbarazzo personale per essere 'piccolo', 'meschino', 'cattivo'.
Altre persone se ne fottono e godono pienamente di questo sentimento come dell'unica vera forma di umorismo.
L'autrice dice: la shadenfreude ci fa sentire meglio in un mondo difficile, ci consente di vivere un po' più soddisfatti con noi stessi, e in fin dei conti non fa male a nessuno. E' una cosa personale da non mettere in mostra o coltivare, perché non diventi ostilità, odio o qualcosa di peggio, ma non cagiona effetti negativi ed è un piccolo piacere della vita.