The Shift (Id, 2018): è l'ultimo darling nel genere libri di teoria del gioco dedicati al baseball. L'autore è Russell Carleton, phd in psicologia infantile (sintetizzo), appassionato di statistica e matematica, scrittore su Baseball Prospectus dal 2009. Ha collaborato con data/stats guy con team di Major League.
L'idea alla base del libro è l'indicazione/individuazione di una terza e corretta via di buon senso tra la prospettiva tradizionalista e le moderne tecniche di analisti dati per interpretare e 'giocare' meglio a baseball.
Trovare il punto d'unione tra sabermetrics ed elemento umano, tra scouts e stats, tra cuore/fegato (o altro organo adibito a sede del coraggio e del sacrificio) e l'algoritmo della verità dei numeri che governano l'universo e il comportamento dei giocatori in campo.
Una fusione di psicologia e metodo scientifico che non tradisca lo spirito del baseball ma non faccia finta che moneyball sia una finzione.
Alcune citazioni: 'baseball is a thinking game', 'baseball is a team game played by 9 individuals'.
Il baseball è un po' come gli scacchi: è abbastanza popolare da essere conosciuto da tutti, palesemente matematico da consentire a chiunque ne capisca un po' di sentirsi intelligente, estremamente prono a minuziose analisi statistiche e preparazione strategica.
Carleton parte alla lontana: ogni capitolo è introdotto da un breve racconto autobiografico di dubbia onestà, una sorta di narrazione esemplare presumibilmente tratta dall'esperienza diretta per accomodare umanamente il lettore in qualcosa che in seguito si dimostrerà metafora per qualche tortuosa (ma affascinante) predizione probabilistica.
Si parla di expected value come della norma che dovrebbe governare ogni scelta nel baseball a partire dal General Manager, passando per il coach, fino a ogni giocatore in campo. Si spiegano alcune delle più famose (relativamente) nuove statistiche predittive come WAR da opporsi a semplici riassunti di prestazione come la somma degli RBI.
Si parla dei benefici che potrebbero avere innovativi usi della rotazione dei partenti, per esempio usare 4 partenti più un platoon di 2 semi-partenti al posto del quinto; del fatto che lo shift non abbia in realtà alcun vantaggio pratico; di come usare i reliever al meglio e di quali siano le reali situazioni che dovrebbero richiedere l'impiego del closer.
Si parla del duro lavoro dei manager e dei general manager, di come le prestazioni dei giocatori non siano dipendenti esclusivamente dalle tre ore e qualcosa della diretta tv, ma siano influenzate dallo stato mentale ed emotivo, dall'educazione, dallo spogliatoio, da situazioni famigliari e qualsiasi altra cosa normalmente accada nella vita di un essere umano.
L'approccio di Carleton è molto diverso, per dire, da quello degli autori di The Only Rule Is It Has To Work: la morale della favola di Shift è che alla fine della stagione, facendo tutto perfettamente secondo gli indicatori statistici, ogni team potrebbe riuscire a strappare una manciata di vittorie in più. Al massimo. In un mondo perfetto.
Quella manciata di vittorie possono essere la differenza tra un posto in post season e una stagione fallimentare, ma sono anche talmente difficili da ottenere e le variabili sono talmente complesse e molteplici da poter risultare non un fattore... pur essendo un fattore.
Carleton ama le sue analisi e ricerche, e i dati sono convincenti e spesso impressionanti: il fatto che costantemente sembri minare i loro risultati accostandovi l'aspetto umano ed emotivo degli umani coinvolti sembra quasi paternalistico.
E' un bel libro, migliore nella sua prima metà rispetto al finale: gli argomenti iniziali sono più abbordabili, quelli finali più speculativi e meno intriganti.
E' senza dubbio il miglior saggio sportivo non biografico che ho letto (e ormai ne ho letti parecchi).