The Final Day at Westfield Arcade (Id, 2013): romanzo d'esordio per un giovane scrittore stranamente scarso in presenza online. Questo romanzo è la versione sicura e non originale di Ready Player One.
La storia si svolge in Indiana, praticamente tutta in un unico ambiente: la salagiochi Westfield Arcade all'interno del locale centro commerciale; Mike, il nostro protagonista, inizia a lavorarvi come aiuto nel 1980: col passare degli anni ne diventerà il proprietario.
Il romanzo segue due tempi: un'unica giornata nel gennaio 1997, raccontato in terza persona, con Mike all'interno della sala per l'ultimo giorno prima della chiusura definitiva. Praticamente solo con i propri pensieri, Mike ripercorre la propria vita e l'epopea americana delle salegiochi... epopea abbastanza simile più o meno in tutto l'occidente, anche da noi... argomento verso il quale sono molto sensibile, ne abbiamo già parlato più volte.
Il romanzo segue due vicende centrali: il racconto nostalgico della parabola pop-economica delle arcade, il racconto della vita di Mike.
Ogni capitolo del romanzo prende il nome da un classico videogioco.
E' scritto bene, senza particolari fronzoli o interesse letterario: Andy Hunt, l'autore, racconta una storia chiaramente ispirata alla propria vita personale.
Space Invaders, Pac-Man, il NES, Street Fighter 2, la Playstation. Questo è più o meno l'andamento della storia visto dalla prospettiva della salagiochi: successo straordinario, prima crisi dovuta al mercato home, secondo successo straordinario, seconda e definitiva crisi dovuta al mercato home.
Sull'argomento ho letto altri libri, l'argomento l'ho vissuto: il romanzo tocca diverse corde giuste parlando dei videogiochi e dell'ambiente della salagiochi, le amicizie fortissime con persone di cui non sai neppure il cognome, le partite o il passare ore a guardare altri giocare.
Quando Hunt racconta di quegli anni, si sente la passione e l'esperienza diretta.
La storia personale del protagonista è invece decisamente banale e spesso insensata: Mike è orfano, il nonno è malato di Alzheimer, i suoi soli amici sono avventori della sala, ha un'unica ragazza che ama per 17 anni in una storia romantica assurda e irrealistica... potrebbe anche essere una bella storia d'amore (non lo è) ma stona completamente con il resto (preponderante) del romanzo.
Il protagonista e tutti gli altri personaggi sono a mala pena accennati, macchiette senza profondità che vivono vicende sintetizzate e slegate tra loro, astruse dalla realtà e semplificate in modo così infantile da sollevare dubbi a) sull'esperienza di vita dell'autore b) sulla necessità di scriverle.
Mike esiste solo per poter definire questo libro un romanzo e non un saggio o un memoriale sul successo e morte delle salegiochi in Occidente. Si legge molto in fretta, lettura leggera con alcuni spunti davvero teneri per chi abbia vissuto quegli anni.
La storia si svolge in Indiana, praticamente tutta in un unico ambiente: la salagiochi Westfield Arcade all'interno del locale centro commerciale; Mike, il nostro protagonista, inizia a lavorarvi come aiuto nel 1980: col passare degli anni ne diventerà il proprietario.
Il romanzo segue due tempi: un'unica giornata nel gennaio 1997, raccontato in terza persona, con Mike all'interno della sala per l'ultimo giorno prima della chiusura definitiva. Praticamente solo con i propri pensieri, Mike ripercorre la propria vita e l'epopea americana delle salegiochi... epopea abbastanza simile più o meno in tutto l'occidente, anche da noi... argomento verso il quale sono molto sensibile, ne abbiamo già parlato più volte.
Il romanzo segue due vicende centrali: il racconto nostalgico della parabola pop-economica delle arcade, il racconto della vita di Mike.
Ogni capitolo del romanzo prende il nome da un classico videogioco.
E' scritto bene, senza particolari fronzoli o interesse letterario: Andy Hunt, l'autore, racconta una storia chiaramente ispirata alla propria vita personale.
Space Invaders, Pac-Man, il NES, Street Fighter 2, la Playstation. Questo è più o meno l'andamento della storia visto dalla prospettiva della salagiochi: successo straordinario, prima crisi dovuta al mercato home, secondo successo straordinario, seconda e definitiva crisi dovuta al mercato home.
Sull'argomento ho letto altri libri, l'argomento l'ho vissuto: il romanzo tocca diverse corde giuste parlando dei videogiochi e dell'ambiente della salagiochi, le amicizie fortissime con persone di cui non sai neppure il cognome, le partite o il passare ore a guardare altri giocare.
Quando Hunt racconta di quegli anni, si sente la passione e l'esperienza diretta.
La storia personale del protagonista è invece decisamente banale e spesso insensata: Mike è orfano, il nonno è malato di Alzheimer, i suoi soli amici sono avventori della sala, ha un'unica ragazza che ama per 17 anni in una storia romantica assurda e irrealistica... potrebbe anche essere una bella storia d'amore (non lo è) ma stona completamente con il resto (preponderante) del romanzo.
Il protagonista e tutti gli altri personaggi sono a mala pena accennati, macchiette senza profondità che vivono vicende sintetizzate e slegate tra loro, astruse dalla realtà e semplificate in modo così infantile da sollevare dubbi a) sull'esperienza di vita dell'autore b) sulla necessità di scriverle.
Mike esiste solo per poter definire questo libro un romanzo e non un saggio o un memoriale sul successo e morte delle salegiochi in Occidente. Si legge molto in fretta, lettura leggera con alcuni spunti davvero teneri per chi abbia vissuto quegli anni.
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