The Grandmaster: (mi) capita che, dopo aver aspettato una certa cosa per troppo tempo, mi passi completamente la voglia di vederla, un vero e proprio blocco. Ho questo film da APRILE 2013... sì, un blocco di un anno è notevole. Probabilmente lo batte solo quello sul secondo (e di conseguenza terzo) nuovo film di Evangelion.
Inquadriamolo: è l'ultimo film di Wong Kar-wai, indietro per il blog li trovate tutti tranne quello americano, ed è la sua versione della storia di Ip Man, con Tony Leung Chiu-wai al posto di Donnie Yen.
La sua produzione è cominciata nel 2008, ma probabilmente non è neppure il film di Wong ad aver subito i maggiori ritardi nella sua carriera di pefettino capriccioso: è documentato come il suo film più costoso e si trovano varie interviste con sparate politiche sull'importanza di averlo realizzato come un film 'unitamente' cinese, non un film di Hong Kong o un film Mainland Cina... qui sul blog apprezziamo sempre la differenza tra le due, apprezziamo quindi molto che il Genio abbia deciso di prendere di petto la questione (non è certo un mistero il suo interessamento in materia, 2046)... è un film fatto da 'tutta la Cina'.
I primi minuti del film stabiliscono il tono e le evidenti e forti differenze con il precedente di Wilson Yip: le coreografie marziali sono molto meno marziali e molto più 'spettacolari' nel senso dell'utilizzo di effetti speciali, visivi e non, classici dell'autore come cavi, super-slowmo e... avrà sicuramente un nome tecnico, mi riferisco a quando vengono eliminati frame per ottenere un effetto a 'scatti' tipo discotesca stroboscopica.
Dato il motivo politico/sociale descritto all'inizio, The Grandmaster è un film molto più normale e 'comune' rispetto alle migliori e più caratteristiche produzioni di Wong: niente narrato emotivo alla In the Mood for Love, niente esistenzialismo sublime alla Ashes of Time, nessuna passione disperata alla Happy Together.
E' un biopic dalla regia certamente artistica, certamente incomparabile a Yip, ma non più fresca e troppo codificata.
Sia chiaro, non fraintendetemi, averla una sensibilità come questa: la delicatezza delle scene domestiche o la profondità nell'evidenziare un piccolo dettaglio caricandolo di significati, il tempo romantico e l'equilibrio compositivo. Wong non è il genio caduto, rimasto indietro o accartocciatosi come Kitano (per dire), è mitigato, meno intenso, più accessibile ma ancora ricchissimo di contenuti e visione.
Torniamo al filme: gli artisti marziali, Ip Man specialmente, sono presentati come umani ai limiti del superumano con colpi che spaccano e calci che spediscono poveri malcapitati a decine di metri, attraverso muri.
Le coreografie di combattimento, pur belle, non sono comparabili a quelle aventi Donnie Yen.
Tony Leung è magistrale come sempre, come attore, ma la sua competitività atletica non è equiparabile: gli scontri in Grandmaster sono cinematograficamente aiutati. Se solo gli americani potessero mettere le mani e riprodurre adeguatamente queste tecniche cinematografiche, altro che Batman di Nolan.
Ci sono un paio di combattimenti mostrati in prima persona che sono semplicemente esaltanti, ci sono molte bellissime idee per rappresentare il combattimento; tutto viene viziato, per la mia sensibilità, da tensioni politico motivazionali troppo pressanti: non è la propaganda consueta dei film di regime, Cina uber alles, è più moderata e umana, più umile e rappresentativa di un'idea di saggezza popolare, etnica del popolo cinese, descritta e mostrata attraverso l'allegoria della storia delle arti marziali di inizio '900, e la vita di Ip Man in quel tempo turbolento.
Ecco, il 'tempo turbolento' non è presente nell'azione, all'inizio: è discusso e lontano, tutto si svolge in luoghi chiusi e isolati dove gli artisti marziali sviluppano Torri d'Avorio di violenza controllata le cui ripercussioni motivano e indirizzano le azioni delle persone al di fuori.
Vedete? Normalmente sono terra terra, basta un film di Wong per riscoprire la trascendenza, i sottotesti e i livelli.
Già che ci siamo, parliamo delle 'ultime cene': frequentemente nel corso del film, il regista interrompe l'azione per mostrare delle scene di gruppo statiche, delle istantanee senza fermo immagine, di partecipanti riuniti prima di qualche evento.
Parliamo anche dei conflitti: vecchio contro giovane, uomo contro donna, uomo liberale contro conservatore... solo per evidenziare i principali. Il tutto basandosi sul classico 'gli artisti marziali comunicano attraverso i propri pugni'.
La storia segue poi il suo corso, arrivano i giapponesi, Ip Man finisce in povertà e inizia un periodo di scoperta interiore e insegnamento; a differenza dell'altro Ip Man, tuttavia, qui non si perde mai di vista la storia segreta delle arti marziali: lo scontro tra i discendenti del maestro Gong, l'unificazione e lo scontro tra Nord e Sud, la ricerca di una risoluzione alla contraddizione del Kung Fu. Non a caso, Tony Leung non è l'unico protagonista.
Non a caso, per un certo periodo, il titolo del film era stato The GrandmasterS.
Gli attori tutti bravi, poco da dire a riguardo salvo una profusione di complimenti per la solita eccezionale performance di Tony Leung, la qualità superiore di tutti gli altri.
Tutto ciò detto, tralasciando quello americano, è il peggiore film di Wong Kar-wai: autoderivativo alla regia, idee originali spese solo nelle scene di lotta, il resto già visto (il racconto della storia d'amore, per esempio); sceneggiatura sconclusionata e lacunosa, un collage di scene sconnesse che sembrano rimandare a tagli in post-produzione più che a scelte registiche.
Un buon film da un regista eccezionale è comunque superiore, ma si vedono tutte le crepe in un sistema stilistico e personale che ha fatto passato la sua epoca d'oro.