Glory to the Filmmaker!: dopo il deludente Takeshi's e prima dell'ultimo (finalmente) successo alla mostra di Venezia, Achille e la Tartaruga che dovrebbe finalmente concludere la trilogia del suicidio artistico, Kitano scrisse, diresse, montò e interpretò questo strambo film. Ancora una volta si torna sull'autobiografia in corso e continuativa, Kitano su Kitano mediato dal pupazzone ''dummy'' costantemente impegnato a veicolare misteriosi messaggi stilistici e comicità spicciola: nella prima parte del film un supernarratore descrive le peripezie professionali del regista Kitano dopo la fatidica e classica dichiarazione ''non farò mai più film di questo genere'', motivo ricorrente di tanta storia reale cinematografica; passando da un genere all'altro, inanellando una sequenza di flop passando per tutte le tipologie produttive giappones (il narratore spiega tutto ma ci vuole più di una superficiale conoscenza del cinema giapponese moderno per comprendere i tanti gustosi riferimenti), il Kitano dietro la macchina apre senza soluzioni di continuità a un volo pindarico di assurdità e nonsense decisamente troppo protratto e lungo, tanto da stancare e stufare molto prima della fine e ben prima dell'elegante ripresa dei titoli di testa abortiti in principio di film. Non è certo il film da guardarsi mentre si crolla dal sonno dopo una provante settimana di lavoro, né da guardarsi per distrazione e neppure quando alla ricerca di emozioni forti: è un film senza momenti per essere visto, manca di pubblico e per questo resta perfettamente centrato sul suo autore, che ne è soggetto, ripreso a riprendersi senza imbarazzo o pudore mentre spiega a tutti quanto gli riesca facile fare tutto e il contrario di tutto, e quanto sia imbarazzante la facilità di riprodurre un modello vincente a oltranza senza mai lasciarsi scoperti alle critiche. E' un film che dice tanto del suo autore perché il suo autore si volta e ci parla scandendo le parole ed esagerando i labiali: il problema è la lingua, per quanto internazionale resta giapponese e questo non aiuta. Dire qualcosa di sé e della vita, chiunque potrebbe fare lo stesso e alla fine, come Kitano: a tutti interessa più la propria vita. Più ci penso più mi è piaciuto: ciò detto, troppo lungo, troppo verboso, troppo arzigogolato, in definitiva troppo noioso e faticoso.