Iron Man: molti anni fa ho capito che essere contemporaneamente un DC Jeek e un Marvel Zombie fosse possibile solo a creature dalla mente più aperta, dal portafoglio rigonfio, soprattutto però baciati dalla buona sorte di una gran quantità di tempo libero. Iron Man l'ho sempre letto, più o meno: lessi tutto il volume 1, arrivai fino a quel punto quando la bruttura del Marvel Universe portò alla Rinascita degli Eroi; lo ripresi al tempo del Ritorno ma era troppo tardi, il Tony Stark che apprezzavo: quello delle Guerre delle Armature, era scomparso per sempre. Sono quindi nostalgicamente e semplicemente entusiasta nel trovarmi a guardare un film dedicato al primo Iron Man, quello del sogno: quello che come Batman, Green Arrow e tutti i ricconi votati al bene segnava in quei dorati anni americani l'impronta social-capitalistica più forte incontrando nel più avvantaggiato anche il benefattore supremo. Ci voleva un regista costantemente sull'orlo dell'insuccesso e l'attore pronto al riscatto per mettere in piedi la migliore produzione possibile, un film che dalle parti di newsarama sono andati a vedere tre volte tanto erano increduli a scoprirlo così bello. Atteniamoci all'Origine: Tony Stark è un genio per retaggio famigliare votato alla meccanica e all'elettronica applicata all'industria bellica, ricco e sfrontato, annoiato, arrogante, ha tutto. Un giorno se ne va a fare un giro in un paese che, per motivi di aggiornamento storico, è stato modificato sulla carta geopolitica rispetto all'originale riassumendolo al tipico imprecisato luogo mediorientale del mito moderno: viene catturato, ferito a morte e costretto a costruire armi per i suoi catturatori; incontra il suo Damasco e gli viene donata una seconda vita e, per coincidenza, il motore e la causa del suo potere: fuggito e tornato in patria Tony Stark cercherà di riordinare la sua vita secondo le nuove e più pressanti cause del suo cuore. A questo punto il film poteva andare in merda: il regista e il suo protagonista hanno potuto sfruttare però quell'esperienza che tanti registi cinematografici contemporanei dovrebbero forse spendere per ottenere, le sit-com televisive su cui i due hanno fondato il primo successo e il ritorno alla scena concede loro tempi comici e ritmo narrativo impareggiabile. I dialoghi scivolano leggeri, mai pretenziosi, puntuali, irriverenti e pungenti: nessuno dei personaggi si perde in sciocchezze stereotipate prive di autoironia; Downey Jr. riesce nella difficile impresa di mostrare la doppiezza connaturale di Stark: non solo quindi il rimediare ai torti fatti ma in pari misura il soddisfare quella ricerca dell'emozione e della fuga dalla noia, dell'azione e del pericolo che mescolano egoismo umano all'atruismo superumano. Sembra scrittogli addosso. Il contorno funziona bene: al posto della Paltrow potrebbe esserci chiunque, data la sua funzione semplice di spalla e ribattuta per Downey Jr., però e' graziosa e si comporta con la dovuta dose di severità e divertita tolleranza che rese Pepper un personaggio fondamentale del primo Iron Man; Favreau stesso si ritaglia il minuscolo ruolo di Happy lasciando quello più articolato e proiettato verso il secondo capitolo di Rhodes a Terrence Howard. Il Drugo veste i panni di Iron Monger: ti aspetteresti sempre di vederlo con un white russian in mano ma riesce a fare il cattivo con sufficiente caricaturalità ed è tuttosommato convincente in una parte comunque piccola e di contraltare al dominante ruolo del protagonista. Tecnicamente il film è uno spettacolo: il genio Stark è circondato da IA che gli organizzano la casa (il maggiordomo Jarvis qui trasfigurato) e da animali domestici meccanici che gli fungono anche da assistenti, adopera sistemi operativi così avanzati ed evoluti da rendere l'iphone un grillo parlante Clementoni; poi c'e' l'armatura: mark 1, mark 2 e mark 3. Dalla progettazione alla vestiozione è un tripudio di mechaservice, una volta in volo è l'apoteosi dell'esaltazione: il volo è perfetto, persino migliore di quello visto in Superman; i repulsori sono impressionanti. Il miracolo però sono le collisioni: l'armatura è fisica, non ha niente di virtuale, tocca e viene colpita con assoluta credibilità e fisico rispetto della realtà strutturale; è chiarissima nella sua visibilità, Favreau non si nasconde dietro confusione e ambiguità, tutto viene mostrato in piena luce e non c'e' la minima possibilità di fraintendere gli scontri o di non comprenderne lo svolgimento. Alla fine del film, che si chiude con una botta straordinaria e una battuta eccellente, dopo i titoli di coda, Favreau si prende il tempo di dedicare una perla ai lettori: non dirò cosa succede, ma quello che succede è puro fanservice dove si riesce a mescolare universo Ultimate e le più recenti trame del Director.
perbacco, mi sono perso la parte dopo il finale
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