Killing: il titolo originale giapponese è molto più efficace. Zan.
Ottanta minuti di samurai eiga crepuscolare, esteticamente diabolico, narrativamente impalpabile (nel senso di privo di sostanza): è l'ultimo film di Shinya Tsukamoto, da qualche giorno finalmente disponibile con sottotitoli inglesi.
Presentato a Venezia lo scorso anno.
Non è che Tsukamoto sia stato senza produrre film in questi anni, ma certamente il suo ultimo momento di fama mondiale risale a "A Snake of June" dei primi del 2000, e il suo status cult, naturalmente, al periodo di Tetsuo. Fine anni '80 e, per la cronaca, ignoravo ne avesse diretto un secondo seguito poco tempo fa.
Siamo in un momento imprecisato tra la fine del dominio Tokugawa e i suoi 250 anni di pace che hanno distrutto la classe e la cultura samurai, e l'inizio del Rinnovamento Meiji.
Un giovane samurai interpretato da Sosuke Ikematsu vive in un villaggio di contadini: aiuta nei campi, si allena con la spada insieme a un giovane, intrattiene una platonica (ma ovviamente perversa, essendo Tsukamoto) relazione con una giovane. Passa per il villaggio un più anziano ed esperto samurai, interpretato dallo stesso Tsukamoto, e i due decidono di andare insieme a Edo per combattere... non sanno esattamente contro chi o cosa: l'importante è che ci sia la possibilità di una guerra e del ritorno al successo dei samurai.
La prima cosa a sorprendere di Killing è lo straordinario, fuori dal comune, eccezionalmente espressivo e unico lavoro di camera: scene concitate riprese con una camera a mano non stabilizzata mostrano la concitazione dei combattimenti tra il protagonista e il suo giovane e indisciplinato allievo; camera fissa e rigidamente immobile ci mostra il duello tra due maestri della spada, la disciplina dei due rappresentata dalla fermezza della ripresa che non si sposta neppure a seguirli quando escono dal campo visivo; una camera voltane e velocissima rappresenta la gioia di un momento felice e liberatorio tra alcuni dei protagonisti.
Impressionante e il segno della maestria ancora lucidissima del regista giapponese.
Gli effetti sonori (e la musica) sono ugualmente curati e mirati: il rumore metallico dei samurai che camminano, l'esplosività delle scene (poche) di combattimento. Alcune scene sono quasi completamente buie, si riesce a malapena intravedere qualche figura e tutto è esclusivamente affidato all'audio.
E' chiaramente un film da festival.
Concettualmente è anche molto forte: il giovane protagonista è fortissimo ma non ha mai ucciso e se la fa addosso; il vecchio samurai lo vuole far maturare a forza e lo ritiene indispensabile per le sue mire di gloria: il vecchio samurai non ha amanti o una possibile famiglia, gli rimane solo l'ossessione per il 'killing' e la funzione militare dei samurai.
Sfortunatamente la storia è tutto un altro discorso: al villaggio arriva una banda di briganti. Non sono aggressivi ma non sono buoni: il nostro protagonista li sa gestire senza difficoltà, ma il giovane allievo e il vecchio samurai sono accomunati da un lust for blood che causa una serie di tragedie a catena fino alla, assolutamente non catartica, risoluzione finale.
Ci sono inoltre alcune scene decisamente inutili che Tsukamoto sembrerebbe aver inserito solo perché in qualche modo 'dovute' alla sua tradizione e fama, quasi fosse inevitabile per lui mostrare un po' di perversioni, urla e agitazioni incomprensibili dei personaggi: il sesso è sempre connesso alla violenza, non è mai un sollievo ed è sempre un'esperienza subita; i personaggi vaneggiano e perdono il senno o si lasciano trasportare metereopaticamente da fenomeni atmosferici sempre, inutilmente, pieni di significato.
Tsukamoto è un regista giapponese vecchio stile: sapete bene cosa questo voglia dire in relazione al finale.
La giovane è interpretata da Yu Aoi.
Zan è un film puramente da festival. Piacevolmente breve, è possibile guardarlo a casa apprezzandone la profonda caratterizzazione artistica, ignorando la vuotezza narrativa.
Ottanta minuti di samurai eiga crepuscolare, esteticamente diabolico, narrativamente impalpabile (nel senso di privo di sostanza): è l'ultimo film di Shinya Tsukamoto, da qualche giorno finalmente disponibile con sottotitoli inglesi.
Presentato a Venezia lo scorso anno.
Non è che Tsukamoto sia stato senza produrre film in questi anni, ma certamente il suo ultimo momento di fama mondiale risale a "A Snake of June" dei primi del 2000, e il suo status cult, naturalmente, al periodo di Tetsuo. Fine anni '80 e, per la cronaca, ignoravo ne avesse diretto un secondo seguito poco tempo fa.
Siamo in un momento imprecisato tra la fine del dominio Tokugawa e i suoi 250 anni di pace che hanno distrutto la classe e la cultura samurai, e l'inizio del Rinnovamento Meiji.
Un giovane samurai interpretato da Sosuke Ikematsu vive in un villaggio di contadini: aiuta nei campi, si allena con la spada insieme a un giovane, intrattiene una platonica (ma ovviamente perversa, essendo Tsukamoto) relazione con una giovane. Passa per il villaggio un più anziano ed esperto samurai, interpretato dallo stesso Tsukamoto, e i due decidono di andare insieme a Edo per combattere... non sanno esattamente contro chi o cosa: l'importante è che ci sia la possibilità di una guerra e del ritorno al successo dei samurai.
La prima cosa a sorprendere di Killing è lo straordinario, fuori dal comune, eccezionalmente espressivo e unico lavoro di camera: scene concitate riprese con una camera a mano non stabilizzata mostrano la concitazione dei combattimenti tra il protagonista e il suo giovane e indisciplinato allievo; camera fissa e rigidamente immobile ci mostra il duello tra due maestri della spada, la disciplina dei due rappresentata dalla fermezza della ripresa che non si sposta neppure a seguirli quando escono dal campo visivo; una camera voltane e velocissima rappresenta la gioia di un momento felice e liberatorio tra alcuni dei protagonisti.
Impressionante e il segno della maestria ancora lucidissima del regista giapponese.
Gli effetti sonori (e la musica) sono ugualmente curati e mirati: il rumore metallico dei samurai che camminano, l'esplosività delle scene (poche) di combattimento. Alcune scene sono quasi completamente buie, si riesce a malapena intravedere qualche figura e tutto è esclusivamente affidato all'audio.
E' chiaramente un film da festival.
Concettualmente è anche molto forte: il giovane protagonista è fortissimo ma non ha mai ucciso e se la fa addosso; il vecchio samurai lo vuole far maturare a forza e lo ritiene indispensabile per le sue mire di gloria: il vecchio samurai non ha amanti o una possibile famiglia, gli rimane solo l'ossessione per il 'killing' e la funzione militare dei samurai.
Sfortunatamente la storia è tutto un altro discorso: al villaggio arriva una banda di briganti. Non sono aggressivi ma non sono buoni: il nostro protagonista li sa gestire senza difficoltà, ma il giovane allievo e il vecchio samurai sono accomunati da un lust for blood che causa una serie di tragedie a catena fino alla, assolutamente non catartica, risoluzione finale.
Ci sono inoltre alcune scene decisamente inutili che Tsukamoto sembrerebbe aver inserito solo perché in qualche modo 'dovute' alla sua tradizione e fama, quasi fosse inevitabile per lui mostrare un po' di perversioni, urla e agitazioni incomprensibili dei personaggi: il sesso è sempre connesso alla violenza, non è mai un sollievo ed è sempre un'esperienza subita; i personaggi vaneggiano e perdono il senno o si lasciano trasportare metereopaticamente da fenomeni atmosferici sempre, inutilmente, pieni di significato.
Tsukamoto è un regista giapponese vecchio stile: sapete bene cosa questo voglia dire in relazione al finale.
La giovane è interpretata da Yu Aoi.
Zan è un film puramente da festival. Piacevolmente breve, è possibile guardarlo a casa apprezzandone la profonda caratterizzazione artistica, ignorando la vuotezza narrativa.
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