Monsters (Id, 2023): "A Fan's Dilemma" o, in altre edizioni, "What Do We Do with Great Art by Bad People?".
Molto apprezzato dalla critica e variamente citato nelle liste di miglior non-fiction degli ultimi anni.
L'autrice, Claire Dederer, è giornalista, scrittrice e critica professionista (cinema, letteratura).
La domanda del sottotitolo viene posta in vari modi nel corso del libro, cercando di coglierne ogni sfumatura, ma il senso è immediatamente chiaro e qualcosa a cui, almeno fuggevolmente, abbiamo dedicato tutti un pensiero: "how do we separate the maker from the made?"
La domanda, in realtà, è se sia possibile farlo.
La domanda, ancora più in realtà, è se sia moralmente accettabile (giusto) farlo.
Incredibili artisti macchiatisi di crimini odiosi, geni che sono anche mostri.
Generalmente, i capitoli del libro sono dedicati a singoli esempi, ma la struttura è elastica e non è costantemente così: viene raccontato il crimine, rappresentata l'importanza della persona; sono per lo più uomini, generalmente bianchi: ad alcuni viene accordata l'attenuante del contesto storico.
Il libro è anche scritto come un viaggio intellettuale ed emotivo personale dell'autrice, il ragionamento (la teoria critica che propone) prosegue tra un capitolo e l'altro e ne raccoglie le riflessioni, porta avanti le conseguenze e, intanto, il tutto si riflette con la vita reale e personale: la stesura inizia circa con la candidatura di Trump, poi presidente, il Me Too diventa un fenomeno gigantesco, il patriarcato finisce sotto i riflettori come mai prima, l'autrice partecipa del tumulto sociale di nuova emancipazione femminile.
E' uno di quei libri che contengono anche il racconto della propria stesura. 
Non è, e l'autrice lo afferma ripetutamente, un'analisi critica imparziale e neutrale, professionale, della vita e opere di alcuni artisti: è un ragionamento in divenire, iniziato da un potente e negativo fermento emotivo dovuto allo stato del mondo; l'obbiettivo di questo testo è cercare, se possibile, come conciliare queste emozioni morali con l'apprezzamento di arte oggettivamente eccezionale.
Ora, prima di passare all'elenco: si parla molto del rapporto tra uomini e donne, dei sentimenti delle donne, delle storture della società nei riguardi delle donne; sono ragionamenti di altissima qualità e profondità, alcuni capitoli del libro sono onestamente brillanti, ma è un testo squisitamente femminista.
Volendo, infatti, trovare un difetto originale in questo libro: è eccessivamente femminista, quasi esclusivamente femminista; il pubblico fruitore di cui parla è quello delle donne, si immedesima e rappresenta solo la prospettiva femminile, quando parla di uomini è generalmente in termini negativi.
Si parte con Roman Polanski: regista di alcuni dei migliori film nella storia del cinema, persi i genitori nell'Olocausto, persi moglie e figlio per Manson, stupratore anale di una 13enne dopo averla drogata.
Si continua con Woody Allen: altro regista eccezionale, uno dei migliori di sempre; la storia la saprete: una figlia lo accusa di molestie, l'altra l'ha sposata.
Stabilito il metro, la conversazione va avanti parlando di Michael Jackson: le persone sono troppo complesse per essere semplicemente dei 'mostri': ci sono cause e ci sono conseguenze, e gli atti mostruosi sono piuttosto una Macchia, un evento nella biografia dell'artista che si spande sull'opera e sul resto della sua vita.
JK Rowling serve a introdurre il contesto sociale e storico contemporaneo: viviamo in un periodo dove si sa tutto di tutti, da cui deriva la 'cancel culture' che non potrebbe esistere se avessimo solo le opere e nessuna informazione di cui indignarci, e tutto partecipa della 'fan culture'; i fan sono orgogliosi di definirsi ossessionati da un prodotto d'arte e, spesso, estendono la presunta ossessione (il termine è frequentemente usato per esagerazione) anche del produttore: la macchia, quindi, diventa un'offesa personale in queste 'parasocial relationship'.
Relazioni unilaterali tra fan e oggetti del fanatismo.
creatrice di un mondo ordinato e inclusivo molto apprezzato da giovani che non si sentono a loro agio, 
A questo punto c'è un capitolo di breve biografia personale e introduzione al concetto di critica d'arte: si parla anche dei Monty Pythons (posizioni anti-lgbt) e Bowie (ovviamente sesso con minorenni): il nuovo elemento è l'impossibilità dell'escludere una reazione emotiva. 
I fan, l'audience, ama i prodotti d'arte: c'è già una componente irrazionale e sentimentale in questo rapporto, la macchia genera una risposta analoga; puoi provare a razionalizzare, ma la reazione emotiva è impossibile da ignorare. 
L'oggetto della critica, capitolo successivo, è il genio: qui si parla di celeberrimi geni del 1900, Picasso ed Hemingway. Il genio, per produrre l'arte che vogliamo, deve essere libero; al genio, quindi, si concede tutto: smisurato appetito sessuale, violenza gratuita, machismo tossico, naturalmente su un tappeto di corpi femminili offesi.
Si prosegue con Wagner, Woolf, e Willa Cather: razzisti e antisemiti, grandissimi autori; qui si estende il discorso al mondo politico di sinistra, il problema che l'autrice chiama 'liberal fantasy' di un mondo dove i peccati possono essere rettificati e c'è un permissivismo prono alle celebrità artistiche. 
NOTA: non sono stato a ripeterlo, ma quasi tutti i capitoli contengono riferimenti negativi a Trump e la politica repubblicana contemporanea negli USA.
A questo punto c'è una specie di pausa, siamo al giro di boa e dopo aver esposto la teoria di base si va verso le conclusioni, passando attraverso alcuni casi speciali; prima, però: l'oasi felice. 
E' il mio capitolo preferito, probabilmente perché quello più strettamente di critica letteraria: Nabokov e Lolita. L'opinione pubblica su autore e libro è molto sbagliata, Nabokov fu un genio che accettò di farsi associare a crimini odiosi per denunciarli (sintetizzando all'estremo). 
Adesso si parla di donne dall'altra parte, donne artiste: il caso drammatico di Carl Andre e Ana Mendieta (mai sentiti); la difficoltà di essere donne e artiste: Doris Lessing, Anna Sexton e Joni Mitchell, donne che hanno scelto di essere artiste abbandonando famiglia e figli. 
Il crimine delle donne, nella maggior parte dei casi, è di questo tipo. 
Ci sono, però, anche artiste violente: Valerie Solanas; femministe violente, il caso di Sylvia Plath. 
Molti di questi nomi mi erano del tutto ignoti. 
Raymond Carver è la storia di redenzione, un uomo che diventa 'buono' (nonostante alcuni sospetti): il finale è inaspettatamente contro la cancel culture e la conclusione è sorprendentemente semplice. 
Puoi smettere di fruire arte di qualcuno e qualcun altro no, oppure no: è una questione personale che si basa su sentimenti personali, è inutile cercare una teoria unificante su come comportarsi nei riguardi del tema del libro.
Alla fine del suo percorso, l'autrice sembra avercela molto anche con le femministe e la cultura di sinistra: "the way you consume art doesn't make you a bad person, or a good one. You'll have to find some other way to accomplish that".
Il finale è dedicato a Miles Davis, picchiatore di donne: la vera domanda, conclude l'autrice, non è cosa fare dell'arte prodotta da mostri, ma 'cosa fare dei mostri nella nostra vita'. 
Abbiamo un rapporto personale con gli artisti, non troppo dissimile da persone nella nostra vita, famigliari o altro, che sono mostri (o hanno macchie): cosa possiamo fare di queste persone che sono mostri ma continuiamo ad amare?
Non c'è una vera risposta: il libro solleva moltissime riflessioni interessanti e offre varie possibili soluzioni o comportamenti possibili, ognuno dovrà trarre le propria risposta.