Southpaw: il super drammone sportivo di Antoine Fuqua con Jake Gyllenhaal, attore in cerca di una nuova identità professionale, è un bel pacciugone patetico sul pugilato.
C'è tutto.
Pugile iracondo? Check. Orfanotrofio? Check. Moglie/Manager? Check. Manager malvagio? Check.
Entourage di falsi amici? Check. Caduta in disgrazia? Check. Rivalsa? Check. Figlia portata via dai servizi sociali? Check. Allenatore disgraziato e menomato (Forest Whitaker)? Check.
Ci sono tutti, ma proprio tutti gli stereotipi e i luoghi comuni delle storie di boxe.
Non è certamente il film più elegante di Fuqua, né il più divertente, ma i film di pugilato sono così: sono i campioni dell'epica sportiva populista, sono l'apoteosi delle scalate dal basso e delle cadute dall'alto.
...per circa tre quarti di film mi sono chiesto il motivo del titolo. Il protagonista è chiaramente destro, quindi perché chiamare il film 'Mancino'?
C'è un motivo un po' scemo che si palesa verso il finale. Molto scemo.
HISSATSU! SOUTHPAWO UPPERCUTTO!
Billy Hope è il campione dei pesi massimi leggeri (da noi: pesi mediomassimi), campione assoluto che detiene tutte le cinture. Ha tutto.
Muore sua moglie.
Perde tutto perché Hope ha un piccolo deficit, è scemo. Sa fare a botte, niente di più.
Chiaramente la sconfitta è un momento di profonda catarsi che lo esalterà come uomo e professionista, la vita dopo la rinascita è sempre meglio dell'originale: il messaggio di speranza assoluta americana e messianica della seconda occasione.
I combattimenti non sono certi i più belli visti nel genere, lo stesso dicasi per la forma di Gyllenhaal; viceversa, ciò che manca al protagonista in fisicità, compensa più che in abbondanza con la recitazione.
Per contro, una delle performance peggiori di Forest Whitaker: forzatissima e poco ispirata.
Southpaw avrebbe potuto essere meglio, specialmente se non fosse stato scritto come un collage di scene da famosi altri film di pugilato, ma è comunque un dignitoso esempio di film sportivo