Il Sindacato dei Poliziotti Yiddish (The Yiddish Policemen's Union, 2007): ci sono processi mentali che non vale la pena combattere così come idiosincrasie che tutto sommato fanno parte del nostro carattere e ci piacciono, si arriva poi a un punto in cui diviene fondamentalmente inutile lottare per essere totalmente anticonformisti, per mantenere sempre una rigida purezza ideale, ci si piega e si assecondano pulsioni recondite o manifeste, si attenua il giovanilismo e con saggezza si adottano quei costumi globali che non sono poi tutti da buttare. Ho questo libro in giro per casa da mesi, mi sono deciso a leggerlo solo ultimamente ricapitolando l'anno come nelle migliori riviste e cercando di capire cosa provare a ricordarne mentre trascorrerò il prossimo; è il secondo libro di Chabon che leggo, il primo essendo l'imponente Cavalier and Clay: lo stile è profondamente cambiato, la sintassi si è complicata e l'accessibilità narrativa è diminuita in favore di una maggiore espressività rappresentativa, forse anche per sorreggere un'impianto classico come quello del noir all'autore è venuto in mente di mescolare punti di vista, prospettive, tempi e luoghi cercando di seguire il codice di pensiero del suo protagonista, narrato in terza persona ma con la fortissima impressione di un io parlante. Il primo impatto con la vicenda è crudo e brutale, il romanzo è stato premiato da tutti i maggiori cortei fantascientifici, non ci sono navi spaziali ma una Storia alternativa i cui presupposti vengono dati per scontato ruggendo in quelle partenze ostiche approvate da molti libri di fantascienza per non lasciare ai lettori il tempo di abituarsi, per aumentare l'interesse e la concentrazione e la volontà di capire. Nel 1948 lo Stato d'Israele fu distrutto, gli ebrei dispersi e costretti alla fuga: gli USA ne accolsero un gruppo imponente segregandoli in Alaska, adattando la legge e lo statuto federale dello stato per diventare un insediamento temporaneamente indipendente. Una nuova Terra Promessa nell'estremo nord del mondo. Il romanzo è ambientato ai giorni nostri, a pochi mesi dalla Restituzione, il giorno quando l'Alaska tornerà a essere un integro stato dell'Unione e gli ebrei saranno cortesemente invitati a sloggiare. Il protagonsita è Meyer Landsman, è il detective della omicidi perfetto: alcolista, divorziato, sulla via della mezza età, stanco, depresso suicida a tempo perso, pieno di intuito e istinto, naturalmente ispirato a combattere per tutte le cause perse come la sua. E' veramente, come dicono tutti i commentatori, un protagonista ripescato dal noir anni '40; però è anche un ebreo, un ebreo ateo per di più, in un mondo fatto di ebrei provenienti da tutti i paesi storici, di russi e filippini, di bigotti cappelli neri, mafiosi, lobby e luoghi di potere, ma anche di droga e perdizione uguale per tutti anche per gli ebrei. A differenza di Cavalier and Clay, qui Chabon calca la mano sulla caratterizzazione etnica intercalando in continuazione termini yiddish e costringendo il lettore non cosmopolita a ricercora sul dizionario il significato di molte parole e concetti: il romanzo è leggibile anche con la più totale ignoranza in fatto di religione e costume ebraico, ma non avrebbe senso leggerlo senza sforzarsi di capire, oltre al fatto che così facendo se ne perderebbero sottotesti e si rishierebbe di venire rispinti da questa scelta per niente amichevole e tanto affascinante. Landsman vive in un albergo topaia, la sua carriera è finita per lo scarico del cesso come il suo matrimonio, solo il suo collega riesce a guardarlo in faccia e a reprimere il desiderio di sputargli: no, non ''solo il suo collega'', anche quei mentecatti e pezzenti che condividono con lui l'albergaccio e che una notte come le altre lo svegliano per essere il primo a indagare sul tossico trovato morto nella stanza 208. Un tossico come tanti altri, magro e distrutto, eppure e inspiegabilmente comincia da qui un'indagine che porterà Meyer in rotta di collisione contro tutto e tutti. Vorrei spendere qualche parola di più, la quarta di copertina rovina abbastanza la trama e non voglio svilire quelli che sono colpi di scena attentamente progettati e perfettamente capaci di sorprendere e intrigare: lo svolgimento è un crescendo, si parte piano con l'ambientazione e la partenza, personaggi introdotti lentamente e poco per volta, poi una volta ingranata la prima scoperta il resto si sussegue senza soluzioni di continuità costringendo a una forsennata lotta contro gli aggettivi che accompagnano i nomi, contro la voglia di saltarli per leggere subito cosa accadrà. Il finale è perfetto.