Sukiyaki Western Django: sono un paio d'anni ormai che in Giappone sembra siano rimasti solo e sempre quei due, tre registi in tutto. Alla fine, volendo evitare i prodotti troppo mainstream, si finisce a cercare negli stessi posti, sono i soliti credits: avendone visto il trailer avevo intenzionalmente evitato il remake caciarone dell'accoppiata Miike-Tarantino basato sul mio amatissimo classico di Corbucci; se quel Hideaki Ito visto spesso in ruoli d'azione sofferta come quelli di When the Last Sword is Drawn e Princess Blade, poteva anche andarmi bene nei panni che furono principalmente di Franco Nero: Miike Takashi al posto di Corbucci mi dava solo vibrazioni molto negative. Alla fine il film mi è piaciuto, lo dico subito così tolgo i dubbi: certo, non capisco perché sia stato necessario andare a scomodare e scopiazzare Le Lacrime della Tigre Nera, o quale sia il fine nel trasformare le due gang rivali in boy bands uscite direttamente dall'ultimo emo-video del via cavo giaponese, per non parlare della sempre troppo ricercata provocazione con il cast interamente impegnato a parlare engrish a ottenere effetti metaqualcosa. Magari non si capiscono ma si guardano con soddisfazione e stupore, dirizzoni di sfrenata originalità a tutti i costi che pur mancando sovente di conformarmi a quelli che dovrebbero essere prioritari e necessari fini narrativi e rappresentativi, finiscono ugualmente per divertire e convogliare una vago senso del meraviglioso. Peccato soltanto che il raccontare una storia sia qualcosa di definitivamente messo da parte, trascurato e ignorato: riduttivamente si finisce per vedere il film come esclusiva forma artistica audio-video, dimenticando che la grazia d'arte cinematografica derivi dalla commistione di più forme precedenti e che quella letteraria non ne sia suppellettile cassabile e inutile ma parte integrante. Guardando il tutto più come un balletto strettamente coreografato che un film, si riesce ad apprezzarlo enormemente: lasciamo perdere la parodia linguistica del suriyaki al posto dello spaghetti, evitiamo di scendere sul dettaglio socio-culturale dell'origine del suriyaki, sorvoliamo sul film giapponese che rifa il film italiano con stile rubato ai giapponesi (e idee rubate agli americani), sforziamoci anche di dimenticare l'opprimente ed epidemica presenza di Tarantino; resta un non-film troppo lungo con tanta bellezza organizzata a dovere, esplosioni e spari, combattimenti vessati da qualche effetto speciale di troppo ma dinamici e fieri. Di Ito abbiamo detto: a capo delle boy band troviamo Yusuke ''Kyashan'' Iseya, leggermente invecchiato rispetto a quando l'avevamo visto l'ultima volta in Memories of Matsuoko, intrigante e ambiguo, chiaramente vizioso, fluido, agile e molto elegante. Non a caso Miike lo dota di katana e lo veste di bianco. Dall'altra parte c'e' Koichi Sato, una ventina d'anni di più, a suo tempo infelice Jubei in Samurai Resurrection qui nella parte dell'uomo-tank con gatling gun d'epoca, corazza e abito rosso. In mezzo c'e' pure spazio per Kaori Momoi. Curiosa la scelta di Miike di ridurre la presenza dell'infame bara di Django, non vediamo Ito portarsela in giro di qua e di là: la scena è ridotta e concentrata; trovo sia strano perché la bara negli anni è stata ampiamente ripresa ed è spesso ritornata nel giro di anime e altre forme simili di intrattenimento giapponese (ne parlammo tempo fa alla fine della serie animata di Gungrave). Avrei preferito meno spettacolo fine a se stesso, ma il convento questo passa.