A Bittersweet Life: la furoreggiante novita' coreana comincia a spegnersi accettata come realta' affermata con gia' due solidi registi internazionalmente distribuiti e premiati, e un paio di generi caratteristici di grande richiamo popolare; volendo sputare un terzo nome di rilievo da seguirsi con pochi film all'attivo ma tutti ugualmente interessanti (Quiet Family e A Tale of Two Sisters li potete trovare indietro per il blog) puterei a colpire Kim Jee-woon: questo suo ultimo film scala in un istante la mia personale classifica di gradimento per film d'azione non ignoranti. Il protagonista e' il manager di un albergo d'alta classe, una proprieta' della malavita, e ha ottenuto questa posizione avendo servito fedelmente e con proficui risultati il proprio boss, risolvendo situazioni complicate con spietatezza e stile: l'albergo si chiama ''La Dolce Vita'', il suo manager ama le cose belle, conduce una vita sofisticata ed elegante in ogni caso, anche quando si tratti di pestare a morte tre o quattro teppistelli lo fa sempre senza sporcarsi le mani. Grandi calcioni a destra e a sinistra, fluidi e rotanti sempre risistemandosi il vestito e le maniche della giacca, stando attento a non scomporsi e mantenendo sempre la fredda, sorridente faccia del gangster duro e cool. E' talmente tosto che il boss, dovendosi assentare qualche giorno, decide di affidargli il compito di controllare, sorvegliare, spiare, indagare eventuali tresche, ed eventualmente ammazzare, la sua giovane fidanzata. Naturalmente le cose non andranno via come olio. La trama e' semplice nei suoi nessi base ma non manca di mescolare le carte inserendo coincidenze, sinuosi incroci di personaggi condotti alla stessa meta da vicende parallele, poche ma prolungate scene d'azione e una notevolissima caratterizzazione del personaggio di base che, dopo essere stato violentemente strappato alla sua impeccabile e patinata esistenza attraversa prima la fase molto umana del ''mi vomito addosso dalla paura'' giungendo pero' rapidamente a quella ''per ammazzarmi dovete staccarmi la testa, bruciare il mio corpo e dividere i miei granelli fra una pianeta e l'altro''. L'attore protagonista si esibisce in una formidabile interpretazione a tutto tondo in cui e le espressioni e le complicate e dinamiche coreografie di lotta risultano credibili e appaganti; anche il cast dei comprimari si comporta di dovere ma il film e' chiaramente una monografia di caduta e vendetta di uno solo. La ricchezza delle ambientazioni per dettagli e composizione era aspettabile dato il precedente del regista, ma si raggiungono in questo film risultati ugualmente affascinanti resistendo pero' con maggiore sobrieta' alle tentazioni di fissare la camera su particolari visivi eccessivi, evitando quindi di perdere di vista l'obiettivo dell'inquadratura e mantenendo sempre rapida e scorrevole la narrazione; alcune riprese sono di forte impatto come il primo pedinamento in macchina, ovviamente il prologo e l'epilogo: si susseguono, anzi, formano interamente il film una serie di strutture attentamente misurate all'interno delle quali si muove il protagonista. Il movimento e' continuo: attraverso i vari combattimenti a mani nude e l'esplosivo finale a mano armata l'attore non si ferma mai sempre girandosi e sfuggendo e attaccando; tutte scene nitide e chiarissime, mai un piede o una mano che non si capisca a chi appartenga, mai un proiettile casuale. Un film eccellente e per la prima volta mi trovo a pensare che un film coreano avrebbe dovuto essere un po' piu' lungo di modo da poter ampliare alcuni aspetti relazionali tenuti un po' troppo sul vago e tratteggiati da poche immagini non realmente evocative: la parte amorosa, brevissima, e' di fatto tenuta larga e si fatica a comprendere quelli che dovrebbero essere i motivi della situazione creatasi nel film; l'effetto e' voluto, pero', dato che anche i personaggi se lo chiedono negli stessi termini.