Islands of Abandonment: "Life in the Post-Human Landscape". Famoso e apprezzato saggio naturalista del 2021. 
Secondo libro per Cal Flyn, scrittrice e giornalista (impegnata) scozzese. 
NOTA: l'autrice è scozzese ed è 'buffo', passatemi il termine, il modo in cui si senta l'accento nella sua prosa. L'uso particolare dei pronomi e altre affettazioni locali che danno immediato colore e connotazione geografica alla sua scrittura. 
Già che ne parliamo: saggio di ecologia scritto con una lingua inaspettatamente poetica, con tanto di frequenti citazioni da poeti veri e propri, e un misto di lirismo e stringente terminologia scientifica, specialmente le sfilze di nomi di piante, insetti e animali che mi hanno costretto a leggere con google accanto.  
Il libro descrive 12 luoghi che rappresentano altrettante varianti di abbandono umano e riappropriazione naturale. Succede qualcosa, disastro naturale o crisi economica, l'uomo abbandona il posto, la natura ritorna. 
E' un libro di desolazione e distruzione causata dagli uomini che si trasforma in speranza per il futuro 'ecologico' del pianeta (forse non per il nostro). 
Ci sono varie parole chiave in questo libro, spesso associate a specifici capitoli: rewilding, recovering ecosystems, ecological restoration, etc etc. E' un libro che racconta la speranza che il pianeta sia sostanzialmente più forte noi e di qualsiasi nostra azione, ma in un contesto che potrebbe lasciar intendere, comunque, la nostra completa assenza dal pianeta stesso. 
Perché morti tutti. 
Speranza, infatti, insieme a Tempo. La natura alla fine vince, ma ci vuole tempo, molto tempo: così tanto tempo da presumere la nostra estinzione. 
Ogni variante principale all'interno dei capitoli è un modello, ma non è l'unico esempio trattato nei capitoli: aspetti diversi di fenomeni simili. In questo senso, nonostante la qualità della scrittura e l'ovvio interesse per l'argomento, il libro risulta ripetitivo. 
Molti di questi libri risultano ripetitivi, almeno qui le differenze tra gli esempi dati sono significative: il concetto centrale è il medesimo, ma i modi sono orribilmente vari. 
Il libro contiene anche 2 inserti fotografici, patinati e a colori: le foto sono un valido supporto al testo, quelle più impressionati mostrano la terribile somiglianza tra Pripyat e Detroit. 
Ah: i capitoli sono raggruppati in parti.
Cominciamo. 
"In Abstentia": non ci sono più uomini. 
The Five Sisters sono un complesso di 'colline' di rifiuti in Scozia: i resti di un'industria di sfruttamento minerario, si parla di olio di scisto che non ho idea di cosa sia (l'ho letto sulla wiki, ancora non so cosa sia) e dell'immensa quantità di detriti generata dalla sua estrazione. Detriti accumulati e accumulati fino a formare vere e proprie colline pietrose. L'industria fallisce, questo sarà un leitmotiv di tutto il libro, ma i rifiuti rimangono e si trasformano in isole di vegetazione e fauna, come barriere coralline di terra; perfetto esempio di 'primary succession' (the beginning step of ecological succession after an extreme disturbance, which usually occurs in an environment devoid of vegetation and other organisms, citazione dalla wiki)e 'self-seeded ecosystem'.
The Buffer Zone di Cipro: avevo solo una vaga conoscenza della situazione di cui si parla qui, una specie di incrocio tra quella di Berlino e quella coreana; una DMZ/No Man's Land (appropriato dato l'argomento) che attraversa e taglia in 2 l'isola di Cipro passando anche attraverso la sua capitale Nicosia. Una striscia disegnata su una mappa al cui interno nessun uomo può vivere, dove la natura sta prendendo il sopravvento come in una città post-apocalisse (la prima di una serie nel libro). 
Viene ripetutamente citato Mieville, Nicosia come il suo "The City and the City": una stessa città nettamente divisa tra 2 culture e società che si ignorano a vicenda, in questo caso tagliate da una zona inabitabile e abbandonata. L'autrice ne cita una mezza dozzina simili in tutto il mondo, di cui avevo ancora meno conoscenza. 
Harju in Estonia. Riassumo: cade l'Unione Sovietica e, dall'oggi al domani, 63 milioni di ettari di terreno coltivato alla maniera comunista diventa inutile e abbandonato; stati vengono smembrati, le necessità cambiano, la modernità arriva improvvisa. Si parla di nuovo di 'succession': il bare ground delle coltivazioni abbandonate che si trasforma in nuova foresta. Il collasso della Russia diventato il più massiccio man-made carbon sink nella storia (altri esempi dello stesso fenomeno sono seguiti alle peggiori pandemie: morte nera e il great dying dei nativi americani dopo la colonizzazione): ci sono meno persone di colpo, i campi vengono lasciati andare, diventano foreste; paradossalmente, una delle grandi speranze raccontate dal libro, è cresciuta e cresce più foresta nei paesi sviluppati dove nessuno vuole più coltivare, di quanta ne venga distrutta nei paesi poveri che si accollano la coltivazione mondiale. Il saldo è positivo, il polmone verde si è trapiantato in Europa e America del Nord. 
...il saldo alberi è positivo. Il saldo tra emissioni dovute agli alberi bruciati + alberi in meno e gli alberi in più + le emissioni assorbite da questi alberi è non determinato. 
L'ultimo capitolo di questa parte è certamente il più noto e riconoscibile: Chernobyl. 
L'immaginario collettivo conosce Chernobyl: tutti abbiamo guardato, letto, giocato o siamo stati in qualche modo intrattenuti dal racconto dei fatti dell'ultima volta che l'Ucraina divenne così famosa; alcuni di noi sono vecchi abbastanza da ricordare la paranoia di quei mesi. Tutti abbiamo visto le immagini della vegetazione sorprendentemente lussureggiante e della fauna mutante post-apocalittica che ha perso il controllo di Pripyat e dintorni. Una dead zone che non è per niente morta, è solo mortale per noi. Alcuni naturalisti radicali lo considerano un paradiso protetto dalle radiazioni, altri un inferno di mostruosità degenerate. 
"Those who remain": sono rimasti pochi uomini. 
Due capitoli dedicati a due città americane.
Detroit è una mia passione, ne ho lungamente parlato a ogni occasione possibile: il 'blight' che rappresenta il decadimento tanto della struttura urbana quanto di quella sociale; la quarta città d'America che perde due terzi della sua popolazione nel giro di 70 anni. 
La città non è vuota: abbandono e vita coesistono fiango a fianco; mito contemporaneo della catastrofe capitalista: una single industry city che, morta l'industria, muore. Si parla di domicology, lo studio del ciclo vitale degli ambienti urbani costruiti; il racconto di un'ecologia umana inverosimile, distopica e stridente con la nostra (mia) privilegiata prospettiva sul mondo. 
Paterson in New Jersey, storia simile a quella di Detroit: la prima planned industrial city americana, fondata alla fine del 1700. L'industria muore, la popolazione fugge, chi rimane è povero e disperato, probabilmente sbandato. Si continua a parlare dei capitalismo malvagio e si prosegue nel racconto, che è un altro dei temi portanti, di altre possibilità di organizzazione sociale umana: la criminalità come scelta di liberà, sbandati come nuovi selvaggi. 
"Long shadow": non ci sono più uomini ma ne rimangono le tracce, non molto diverso dalla prima parte a mio parere.
Arthur Kill è uno stretta via d'acqua tra New York e New Jersey, ed è un cimitero di navi e deposito di altra spazzatura industriale e modi economici morti da tempo; rifiuti 'indistruttibili' semplicemente lasciati sul posto, scorie umane che rimarranno virtualmente per sempre. Una specie di Chernobyl diversamente velenosa, fatta di plastiche, olio e chimica divenuta fuorilegge, vario inquinamento. 
Anche qui, forme di vita uniche hanno trovato il modo di abitare questo scenario: unnatural selection e rapid evolution, mutazioni e adattamento accelerato causato dalle reazioni alla tossicità umana.
Probabilmente la seconda più famosa dopo Chernobyl, si parla della Zone Rouge e della Foresta Proibita di Verdun: famigerati 300 giorni di battaglia durante la Prima Guerra Mondiale; distruzione ambientale senza precedenti, morti su scala industriale: così tanti da non poter essere sepolti, corpi così mal ridotti da non poter essere riconosciuti: il governo decide di piantare una foresta per nascondere tutto. La foresta cresciuta su un letto di cadaveri, però, non è un simbolo di idilliaca rinascita: non è visitabile, è seclusa perché letteralmente minata da migliaia di ordigni inesplosi e altri rifiuti bellici di varia pericolosità; differentemente dai capitoli precedenti, persino rispetto a Chernobyl, qui c'è un'area dove ancora non cresce nulla, dove la natura non ce la fa: c'è un posto segreto dove sono state sepolte e bruciate tutte le armi chimiche, nascosti i metalli pesanti completamente contrari alla vita.
Eppure, anche qui, ci sono i segni che la natura, prima o poi, riuscirà a reclamare.
Non che sia sempre una buona cosa. 
Ci trasferiamo ad Amami in Tanzania: un ex-giardino botanico dei tempi della colonizzazione tedesca, abbandonato e andato fuori controllo, specie di piante da ogni parte del mondo forzosamente trapiantate in un ecosistema impreparato. E' un capitolo in generale sul male causato dal colonialismo, anche sull'incapacità dell'Africa di autogovernarsi, e la dubbia etica di come risolvere questo genere di problemi: specie invasive che mettono in pericolo l'ordine naturale di un particolare luogo a cui viene data la caccia per essere sterminate in massa. La convivenza a volte è possibile, gli ecosistemi sono più flessibili di quanto si creda, ma questo adattamento avviene a costo di molti sacrifici.   
Torniamo in Scozia, Isola di Swona: abitata dai tempi del neolitico, ha sempre vissuto di pesca; i pesci sono finiti, l'isola progressivamente, molto rapidamente abbandonata; qualche famiglia rimane, tenacemente o stupidamente come quelli che non vogliono sfollare o scappare dai disastri: alla fine muoiono tutti e/o i giovani vanno via da una vita senza futuro. L'isola lasciata in mano a una mandria di mucche ri-inselvatichite, de-domesticated. 
Ultima parte. 
"Endgame": immagini di un possibile futuro umano. 
Sono due capitoli un po' meno scientifici e un po' più cautionary tale. 
Parliamo di vulcani e andiamo in Montserrat, non ho idea di dove sia ma non è importante: solita posto tropicale con vulcano che esplode e distrugge tutto, ammazza tutti. Esempio di come finirà la nostra società, disintegrata da un super vulcano o qualcosa del genere. La natura può sopravvivere alla distruzione che causiamo, ma siamo comunque distruggendo il mondo e la sopravvivenza della natura non implica la nostra continuità esistenziale. 
Ultimo capitolo: il Salton Sea californiano. Un mare interno creato da un errore di valutazione umano nella gestione del territorio che si trasforma in una risorsa turistica, che si trasforma in un luogo tossico (immaginate la recente situazione dell'Emilia Romagna, ma sua scala ancora più ampia: acqua che non dovrebbe essere lì, che rimane lì per anni e diventa un problema serio); si parla di desertificazione, si racconta di Slab City. Slab City è la versione ultima di una nuova società umana i cui primi passi sono Detroit e Paterson: una città autogestita, off the grid, senza governo. Qualcosa di impensabile. 
Qualcosa come la storyline di No Man's Land di Batman del 1999. Persone che non vogliono più vivere nel sistema, ne escono e creano una nuova società che sembra Hokuto no Ken. 
Eccellente lettura per qualità della scrittura e dei suoi contenuti. 
Un libro di quelli che invoglia a fare figli come atto di malvagità, e spendere tutti i propri soldi perché sarebbe odioso morire senza esserci completamente goduti il nostro personale pezzo di capitalismo.