Le Isole dei Pini (Die Kieferninseln, 2017): ah! Ho finalmente ritrovato la lista dei libri non in inglese che mi sono sbattuto a cercare e comprare qualche settimana fa: erano i finalisti del Man Booker Prize versione International.
Romanzo della tedesca Marion Poschmann, credo il suo primo tradotto in inglese (l'edizione italiana di Bompiani dichiara dall'originale e ci credo).
Prima di tutto sono andato su google a cercare 'isola dei pini' e ne ho trovate mille, la più famosa (almeno stando ai risultati di google) dovrebbe essere quella in Nuova Caledonia. Non saprei trovarla sul mappamondo.
L'errore però è stato mio. Non è: "l'isola dei pini". E': "le isole dei pini". Plurale.
Qui si parla di Matsushima, nel Nord Est del Giappone (Miyagi), il cui nome si traduce letteralmente 'Isole dei Pini'. E' una delle tre vedute più famose del Giappone ed è la meta del viaggio spirituale di ricerca di sé condotto dal protagonista e dalla sua spalla comica.
Un tizio che si ritiene inutile ma allo stesso tempo è molto pieno di sé, professore universitario europeo impegnato in una ricerca stupida sulle barbe nella storia, si sveglia una mattina dopo aver sognato l'infedeltà della propria moglie. Si alza incazzato, litiga con la moglie convinto della realtà del suo sogno (non confuso, letteralmente convinto che il sogno gli abbia comunicato una realtà) e salta sul primo aereo.
Direzione Tokyo.
Rimugina sulla propria vita sfortunata, fraintende e finisce per passare ulteriormente dalla parte del torto nella discussione con la moglie, incontra un giovane giapponese sfigato e gli impedisce di suicidarsi. A questo punto lo costringe a seguirlo: il giapponese è tipicamente succube e il protagonista è in preda a... boh: una crisi di mezza età? Un esaurimento nervoso? Poco chiaro.
I due partono per un viaggio: inizialmente per trovare un buon posto dove il giovane possa suicidarsi con il giusto senso del bello e del drammatico, poi a seguire le orme del poeta Basho (e di un suo famoso pellegrinaggio a Matsushima).
Dunque: è un libro di viaggio? Certamente è un libro di viaggio in Giappone, ma non è il solito libro di viaggio in Giappone perché il protagonista è un erudito ma arrogante professore europeo che vive di stereotipi e interpretazioni molto superficiali della cultura nipponica. Alcuni recensori online hanno criticato l'autrice, secondo molto ed evidentemente fraintendendola molto: appassionati di Giappone si sono offesi per il modo in cui il Giappone viene raccontato. Ma non è la Poschmann a viaggiare in Giappone, è il suo personaggio a farlo ed è un personaggio antipatico e fastidioso che guarda al mondo (e in questo caso al Giappone) attraverso un importante filtro di autoaffermazione.
Il personaggio rifiuta le proprie colpe e responsabilità per larga parte del libro: gli errori di carriera, i recenti errori con la moglie. Cerca costantemente responsabilità esterne e, presto, comincia a identificarsi con il celebre poeta autoimponendosi un viaggio di ricerca spirituale e ritrovamento di sé a tratti ridicolo, a volte velatamente ironico, mai autoironico.
E' molto difficile leggere un libro con un protagonista così 'piccolo', ancora di più quando il registro della Poschmann varia e si mantiene costantemente ambiguo: vogliono seguire le orme di Basho, ma si muovono in treno e il treno non effettua tutte le fermate compiute da Basho, quindi devono scegliere se viaggiare comodi o seguire davvero Basho. Scelgono di viaggiare comodi.
Il protagonista vuole vedere il Fuji e ha già composto vari haiku al solo pensiero, ma c'è foschia e non riesce.
NOTA: la Poschmann è anche poeta e il libro è infarcito di poesie (alcune sono citazioni dei poeti giapponesi originali) haiku. Ammirevole il lavoro del nostro traduttore.
Ci sono quindi evidenti elementi di comicità e ridicolo, di tragicomico.
Allo stesso tempo... beh, ripeto: il protagonista è nel mezzo di un esaurimento o crisi di mezza età. L'incubo del tradimento della moglie è più che altro una scusa per trovare il coraggio di spezzare le catene della sua routine e insoddisfazione. Tutto ciò detto, è comunque un personaggio egocentrico e privo di empatia e altre qualità umane decenti.
...e poi è davvero anche un libro di viaggio: si descrivono i panorami, le vie d'accesso, la vegetazione. Si va a teatro e si racconta uno spettacolo Kabuki, etc etc.
La narrazione, come detto, è inframezzata da un numero crescente di haiku composti dal protagonista e dal giovane mano a mano che si avvicinano alla meta. Non solo: a un certo punto il protagonista comincia a scrivere lettere alla moglie. Lettere completamente dissociate dal possibile e probabile stato mentale della moglie (accusata e abbandonata), infarcite di commenti scemi sul Giappone e il suo viaggio.
No. Non mi è piaciuto. L'ho letto fino alla fine e ne apprezzo alcune delle idee e trovate letterarie, ma non è attraente o piacevole, lascia amareggiati e infastiditi.
SPOILER SPOILER SPOILER
Il giovane a un certo punto sparisce. Il protagonista comincia ad allucinare e, io, a pensare che il tutto sia una specie di fight club e il giovane non sia mai realmente esistito. L'autrice non spiega, si limita a farlo uscire di scena.
A fine libro, il protagonista invita la moglie a raggiungerlo in Giappone. Il libro finisce senza una risposta.