Mirai (Mirai no mirai): uscito nel 2018, diretto e scritto da Mamoru Hosoda, animato dal suo Studio Chizu.
Lungometraggio animato di quelli che si fanno tutto il giro dei festival internazionali, nominato tra i migliori in ognuno di essi.
Non è originale, è un bel film, a tratti inaspettatamente, ma è estremamente simile a tutti i film precedenti del regista: ancora una volta il rapporto figli/genitori, un po' di magia e rappresentazioni fotografiche del Giappone contemporaneo e passato. Quest'ultimo, in Hosoda, è fortunatamente trattato non in opposizione ma in affiancamento. Si attesta la dualità culturale nipponica senza esprimere preferenza o primato.
Ciò detto: Mirai è molto simile a Wolf Children, ma anche a The Boy and the Beast.
Protagonista della storia è Kun, bambino di quattro anni in piena crisi di gelosia e ribellione verso i genitori dopo l'arrivo della nuova sorellina. Kun si sente messo da parte, amato di meno, e quindi non riesce a farsi piacere la sorella (Mirai).
Nel cortile della casa di Kun c'è una piccola quercia... magica.
Quando Kun è nel pieno di uno dei suo tantrum, la quercia magica gli fa incontrare un membro della sua famiglia pescandolo dal passato o dal futuro, a volte spedendo Kun in quel periodo.
Ricorda un po' Dickens.
Uno dei personaggi che Kun incontra è Mirai no mirai, ovvero Mirai of the Future: sua sorella minore ma anni nel futuro e quindi più grande di lui.
Ecco: a differenza di Wolf e Beast, in Mirai non c'è un vero dramma o momento tragico. Ci sono riferimenti alla Guerra Mondiale, ma sono ambientali e non centrali.
Ah: esattamente come in Wolf e Beast, anche in Mirai c'è l'elemento trasformativo che vede uomini diventare animali e viceversa.
La durata è di un'ora e mezza e per la prima mezz'ora almeno sembra di essere in un supermercato o altro ambiente chiuso con un bambino che piange istericamente. Kun è profondamente insopportabile: frignone, isterico, petulante ed egocentrico. E' un bambino con tutte le sue conseguenze di antipatia e simpatia, a seconda del vostro tipo. Nel mio caso è decisamente insopportabile e sono stato lì lì per mandare avanti veloce il film in più di un'occasione, ma non l'ho fatto perché narrativamente meritevole. Esteticamente, lo stile di Chizu continua a non essere il mio, ma narrativamente è ineccepibile e molto ben realizzato e moderno: apprezzo specialmente il modo in cui non si lasci vincolare dalle proprie stesse regole. Sarebbe stato facilissimo scivolare in uno schema e proporre le diverse avventure di Kun in modo similmente strutturato, invece l'organizzazione di queste mini storie è molto aperto e fluido.
E' un film per famiglie con un occhio di riguardo ai genitori.
Non ci sono difetti degni di nota.
Tranne 2.
Tranne 1 che si manifesta 2 volte.
Inizio e fine film sono accompagnati da due canzoni: l'ending è merdoso ma basta interrompere la riproduzione e si può evitare, l'opening è peggio e bisogna pure guardarla e ascoltarla. Due canzoni lagnosissime tra le cose peggiori abbia mai ascoltato. Nauseanti.
Sono opera di Tatsuro Yamashita: dalla sua pagina sulla wikipedia lo individuo come uno di quei musicisti natalizi che ricompaiono solo durante i periodi festivi per promulgare falsi buoni sentimenti.