Autostop con Buddha (Hitching Rides with Buddha, 1998*): partiamo dall'asterisco. Originariamente intitolato Hokkaido Highway Blues, questo libro di viaggio dell'autore canadese Will Ferguson è stato poi ripubblicato con titolo diverso e definitivo nel 2005.
Il libro mi venne consigliato da un 'collega', ritengo, più di un anno fa. L'ho circolato intorno tipo squalo per qualche mese, l'ho iniziato e smollato varie volte, alla fine l'ho ricominciato e concluso in una manciata di giorni.
Letto in traduzione, mi limito a citare l'umorismo intelligente del suo autore e la buona qualità dell'edizione italiana.
Un viaggio in autostop dalla punta meridionale del Giappone, Capo Sata, a quello settentrionale, Capo Soya.
Una cartina e una divisione in parti al cambio d'isola maggiore, divisione in capitoli per città più o meno importanti.
La struttura è tradizionale, non che sia un esperto di libri di viaggi (gli unici altri che ho letto... tutti in/sul Giappone), con varie divagazioni storiche e culturali spazianti dal bushido al pachinko, dagli ainu a godzilla, il tutto mitigato dalla frenetica carrellata di giapponesi in carne e ossa, brevi traghettatori del protagonista nel suo pellegrinaggio.
Perché come spesso accade in questi libri, più che un viaggio trattasi di pellegrinaggio spirituale e interiore, scoperta di sé attraverso il luogo, etc etc. Ferguson è ben coscio di questo processo naturale e ci ironizza sopra senza mezzi termini, per poi cedervi in quei momenti di vera emozione nel suo ricordo.
La stessa franchezza è usata nel definire la veridicità degli aneddoti e dei personaggi incontrati, 'personaggi' perché la storia potrebbe essere senza dubbio un romanzo: dubbia, non bugiarda ma certamente arricchita di mediazioni e considerazioni successive.
L'autore, ufficialmente in viaggio all'inseguimento della fioritura dei ciliegi, concentra subito i temi ricorrenti del suo racconto sulla natura sociale e umana del giapponese: arrogante o insicuro, timido o spaventato, e altre analisi che bisognerebbe averlo letto per capire. Il senso tutto, alla fin fine, diventa una assolutamente non chiara domanda: 'ti piace il Giappone?'.
Il finale è a effetto, davvero: c'è una specie di colpo di scena, per quanto possibile in un libro di viaggio, e una virata dark introspettiva acutizzata dallo specchiarsi del paesaggio naturale sullo spirito e la perseveranza dello scittore. Il sud era bello, il nord non è brutto ma è duro: il panorama cambia e quei concetti un po' derisi di viaggio spiriturale, si scoprono improvvisamente reali e fondamentali, e in un certo qual modo anche definitivi. Un pensiero da due soldi tipo tarocco del viaggio come cambiamento, eppure vero.
Ricordo quando viaggiavo con la famiglia, stando dietro, e come il movimento nello spazio cullasse pensiero di grande profondità e romaticismo; adesso non c'è molto tempo per pensieri, tra una bestemmia e un insulto al guidatore successivo, ed è per questo che esistono questi bei libri di viaggio.
Il libro mi venne consigliato da un 'collega', ritengo, più di un anno fa. L'ho circolato intorno tipo squalo per qualche mese, l'ho iniziato e smollato varie volte, alla fine l'ho ricominciato e concluso in una manciata di giorni.
Letto in traduzione, mi limito a citare l'umorismo intelligente del suo autore e la buona qualità dell'edizione italiana.
Un viaggio in autostop dalla punta meridionale del Giappone, Capo Sata, a quello settentrionale, Capo Soya.
Una cartina e una divisione in parti al cambio d'isola maggiore, divisione in capitoli per città più o meno importanti.
La struttura è tradizionale, non che sia un esperto di libri di viaggi (gli unici altri che ho letto... tutti in/sul Giappone), con varie divagazioni storiche e culturali spazianti dal bushido al pachinko, dagli ainu a godzilla, il tutto mitigato dalla frenetica carrellata di giapponesi in carne e ossa, brevi traghettatori del protagonista nel suo pellegrinaggio.
Perché come spesso accade in questi libri, più che un viaggio trattasi di pellegrinaggio spirituale e interiore, scoperta di sé attraverso il luogo, etc etc. Ferguson è ben coscio di questo processo naturale e ci ironizza sopra senza mezzi termini, per poi cedervi in quei momenti di vera emozione nel suo ricordo.
La stessa franchezza è usata nel definire la veridicità degli aneddoti e dei personaggi incontrati, 'personaggi' perché la storia potrebbe essere senza dubbio un romanzo: dubbia, non bugiarda ma certamente arricchita di mediazioni e considerazioni successive.
L'autore, ufficialmente in viaggio all'inseguimento della fioritura dei ciliegi, concentra subito i temi ricorrenti del suo racconto sulla natura sociale e umana del giapponese: arrogante o insicuro, timido o spaventato, e altre analisi che bisognerebbe averlo letto per capire. Il senso tutto, alla fin fine, diventa una assolutamente non chiara domanda: 'ti piace il Giappone?'.
Il finale è a effetto, davvero: c'è una specie di colpo di scena, per quanto possibile in un libro di viaggio, e una virata dark introspettiva acutizzata dallo specchiarsi del paesaggio naturale sullo spirito e la perseveranza dello scittore. Il sud era bello, il nord non è brutto ma è duro: il panorama cambia e quei concetti un po' derisi di viaggio spiriturale, si scoprono improvvisamente reali e fondamentali, e in un certo qual modo anche definitivi. Un pensiero da due soldi tipo tarocco del viaggio come cambiamento, eppure vero.
Ricordo quando viaggiavo con la famiglia, stando dietro, e come il movimento nello spazio cullasse pensiero di grande profondità e romaticismo; adesso non c'è molto tempo per pensieri, tra una bestemmia e un insulto al guidatore successivo, ed è per questo che esistono questi bei libri di viaggio.
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